TFB Se son rose fioriranno
#41

Where I come from, if someone
saves your life, you don't stab them in the back.

James T. Kirk | Human

Nuovo... inesplorato... diverso... erano tante le parole che riuscivano a catturare l'attenzione di Jim, e la proposta di Carol non fece eccezione: molto bene. Se è davvero quello che vuoi... rispose con un sorriso sornione ricambiando, forse con un po' più di entusiasmo di quanto avrebbe voluto mostrare, l'idea di scoprire qualche lato di Carol che ancora non conosceva: per quanto fosse sincero nell'affermare che non aveva bisogno di dimostrargli nulla, non poteva negare che quel cambiamento inaspettato gli piacesse. All'improvviso qualcosa in lei sembrava essere cambiato: i suoi occhi azzurri si erano fatti più intensi, la sua postura più decisa e Jim si ritrovò ad osservarla in silenzio, con un velo di attenta curiosità, mentre lei si concentrava sulla lista di titoli che era apparsa sullo schermo del computer.

Fu solo quando lei allontanò gli occhi dal monitor che Jim si riscosse, rivolgendole un sorriso cordiale: ... e Amleto sia. convenne selezionando il titolo. Uno o l'altro di quegli spettacoli non avrebbe fatto una gran differenza, in fondo se erano stati caricati sul computer della nave significava che per una ragione o per l'altra ognuna di quelle opere aveva segnato la cultura terrestre. Quello che invece non si aspettava era il modo di fare improvvisamente civettuolo di Carol, cui rispose con un sorriso divertito mentre si sporgeva verso di lei non vedo l'ora di conoscere a fondo questo lato di te le sussurrò malizioso all'orecchio, soffermandosi per imprimerle un intenso bacio sul collo prima di ritrarsi. 

Per qualche istante la mente di Jim parve essere altrove, ma subito recuperò il filo dei propri pensieri Amleto, eh? Dubita che le stelle sian di fuoco; dubita che si muova il sole; dubita che bugiarda sia la verità, ma non dubitar mai del mio amore! declamò con fare allegro, citando la lettera di Amleto ad Ofelia. Sebbene in genere non lo sbandierasse in giro, Jim era un discreto lettore, un'abitudine che aveva preso durante le lunghe missioni nello spazio profondo, e quel testo gli era più volte finito tra le mani: ti avverto, se scegliamo di interpretare questa riscrivo il finale scherzò, alzandosi per risistemare i piatti che erano rimasti sul tavolo.

Ah. Poi l'ho interrogato sul perché: per riuscire ad elaborare la richiesta ha convertito il mio "testi più rilevanti" in un parametro di ricerca numerico. In realtà quello che ha cercato erano i "testi più citati" a livello mondiale e lì la letteratura inglese vince per la lingua, non tanto per il contenuto. ^^' Povere IA...
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#42

It's nice to have a family.

Carol Marcus Umana

«È davvero quello che voglio» confermai, sorpresa e ammirata che Jim conoscesse così bene quel passaggio di *Amleto*. La sua citazione era stata tanto appropriata quanto inaspettata, e questo mi fece riflettere su quanto ancora avessi da scoprire su di lui. «Devo ammettere che sono sorpresa che tu conosca quel passaggio. Sono felice di aver scelto quel volume, a questo punto» dissi con un sorriso che rifletteva la mia sincera gioia.

Mentre riflettevo sul testo, una domanda mi sorse spontanea, data la mia incertezza sulla trama. «Jim, Ophelia muore, vero? Non ne sono completamente certa» chiesi, cercando di ricordare i dettagli dell'opera. La sua risposta avrebbe chiarito quel dubbio che aleggiava nella mia mente da quando aveva recitato quel pezzo, per poi aggiungere «Perché se così fosse, possiamo cambiare il finale, accetterei volentieri» dissi scherzosamente. Non potevo negare che l'idea di reinterpretare un classico con un tocco personale mi intrigasse. «Non perché l'allenamento non possa essere utile, ma preferirei non pensare di lasciarci le penne per almeno tanti anni, nemmeno se è finzione» aggiunsi, con un sorriso complice. La possibilità di cambiare il finale di una storia così iconica come Amleto mi sembrava un modo stimolante e creativo per coinvolgermi in questo progetto. Non solo avrebbe offerto una nuova prospettiva su una storia ben nota, ma avrebbe anche alleggerito il peso di quei temi più oscuri che Shakespeare esplora con tanta maestria.

Sentivo crescere dentro di me un'emozione palpabile per l'avventura teatrale che ci aspettava. Era un misto di eccitazione per il progetto creativo e la vicinanza emotiva che si creava con Jim mentre pianificavamo insieme. Questo nuovo progetto non solo avrebbe rinfrescato il mio spirito spesso troppo serio e lavorativo, ma mi avrebbe anche permesso di esplorare nuove dimensioni del mio essere in un contesto ludico e creativo... sapevo che con Jim al mio fianco, sapevo che ogni passo di questa nuova avventura sarebbe stato un piacere da scoprire.
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#43

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James T. Kirk | Human

Sì, non molti sarebbero disposti a scommetterci, ma so leggere e scrivere. scherzò, perfettamente consapevole di non avere la fama dell'intellettuale e altrettanto determinato a non fare nulla per cambiare la cosa. In fondo finché la gente lo riteneva un idiota con più faccia tosta che cervello, sorprendere il resto del mondo era più facile e soddisfacente. Jim lasciò i piatti nel replicatore, sparendo qualche istante oltre alla paratia che separava il suo letto dal resto della cabina.

Sì... come tutti, del resto. rispose senza nascondere una vena di sarcasmo alla domanda riguardo alla morte di Ofelia: avrebbero dovuto cambiare un generoso pezzo della trama se davvero volevano eliminare le varie morti. Jim si bloccò un istante per tornare a concentrarsi su ciò che stava facendo: era sicuro di avere... si concesse un sorriso quando finalmente scovò ciò che stava cercando, per poi tornare da Carol con un libro tra le mani. Si trattava di una copia cartacea dell'Amleto, che iniziò a sfogliare distrattamente muore fuori scena, comunque... annegata disse un po' scettico: capiva tutto il simbolismo di quella morte e quello che gli autori successivi ci avevano ricamato sopra, ma per quanto lo riguardava gli sembrava che Shakespeare si divertisse un po' troppo a uccidere i suoi personaggi nei modi più insensati.

Stava per aggiungere altro quando, sfogliando il testo, il suo sguardo cadde sulla scena dell'uccisione di Polonio. Addio tu, sciagurato, pazzo, temerario, intrusore! Ti presi per qualche cosa di meglio lesse silenziosamente e in quell'istante realizzò un curioso quanto pungente parallelismo che non aveva mai notato prima di allora: il padre di Ofelia era stato ucciso per un sfortunato incidente da Amleto. E in quel momento si ritrovò a pensare che quella storia non era poi molto diversa da quello che era accaduto tra loro: non era mai stata intenzione di Jim uccidere l'ammiraglio Marcus, ma non poteva nemmeno dirsi del tutto estraneo alla vicenda, visto che se avesse eseguito gli ordini l'ammiraglio sarebbe stato ancora vivo. Certo, l'equipaggio dell'Enterprise ne avrebbe sofferto le conseguenze, ma il capitano sapeva che questo non lo rendeva meno responsabile dell'accaduto: un parallelismo difficile da ignorare, almeno quanto il modo in cui Amleto aveva allontanato Ofelia che sembrava ricalcare il suo fallimentare tentativo di allontanare Carol dai pericoli della vita a bordo dell'Enterprise. Jim sospirò distrattamente mentre richiudeva il libro, per poi posarlo sul tavolino accanto alla donna nel caso lei avesse voluto darci un'occhiata di persona.

Beh... non avevo in mente di interpretare l'intera opera, comunque. disse, prendendo la propria sedia per metterla accanto a quella di lei, in modo da poter entrambi osservare il terminale del computer ... e non sono nemmeno sicuro che mi piaccia l'idea di fare la parte di Amleto. ammise mentre tornava a sedersi, con la testa evidentemente altrove. Ti va se prima di decidere le parti e riscrivere tutto guardiamo lo spettacolo e scegliamo una scena che ci piace? propose, pronto a far partire la riproduzione se lei avesse dato l'ok.
io skipperei a fine spettacolo
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#44

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Carol Marcus Umana

Quando Jim scherzò sul suo livello di alfabetizzazione, risi, apprezzando il suo tipico umorismo autoironico. Era uno degli aspetti del suo carattere che mi affascinava di più: quella capacità di non prendersi troppo sul serio, pur essendo chiaramente più astuto e intelligente di quanto la maggior parte delle persone gli attribuisse. Mentre lui sistemava i piatti nel replicatore e spariva brevemente dietro la paratia, riflettevo su quanto la sua umiltà fosse in realtà un tratto distintivo molto forte.
Mentre sfogliava quell'antica copia di Amleto, la sua attenzione sembrava dividersi tra le pagine del libro e i pensieri più seri che quelle righe suscitavano in lui. Quando propose di non interpretare l'intera opera ma piuttosto di selezionare una scena, annuii, comprendendo il suo desiderio di non immergersi completamente in un ruolo così tormentato come quello di Amleto.
«Un libro di carta, è una meraviglia. Posso prenderlo in prestito e leggerlo? Prometto che non lo rovino» dissi, sfiorando la copertina con la punta delle dita

«Sì, certo, vediamo e poi scegliamo» risposi con un sorriso.

Mentre Jim preparava la riproduzione dello spettacolo, non potei fare a meno di osservarlo di sfuggita. Sembrava assorto, forse un po’ distratto dalle riflessioni che il testo di Shakespeare aveva suscitato. «Stai bene, Jim?» chiesi. Non era mia intenzione metterlo in imbarazzo, ma ero sinceramente preoccupata per la sua espressione.

La riproduzione iniziò e ci immergemmo nell'universo di Amleto, seguendo con attenzione le vicende del principe danese. La recitazione era intensa, le parole di Shakespeare vibravano nell'aria, ricreando l'atmosfera di un teatro antico. Man mano che lo spettacolo proseguiva, mi resi conto che trovavo delle similitudini sorprendenti nella mia vita. Mi sentii profondamente toccata dai temi proposti e non me lo aspettavo. La complessità del rapporto tra Amleto e suo padre mi ricordava le mie riflessioni su mio padre e le aspettative che non ero mai riuscita a soddisfare.

A un certo punto, un desiderio improvviso mi colse; sentii una voglia irrefrenabile di popcorn. «Mi alzo un attimo a replicare dei popcorn, ho proprio voglia di qualcosa di salato, ma non fermare la riproduzione, sono immersa nella storia» dissi, alzandomi dalla sedia e dirigendomi verso il replicatolre, dirigendomi verso il replicatore per poi tornare e mettere in mezzo a noi la ciotola che conteneva i popcorn, un po' più grande di quanto mi aspettassi.

«Non fare complimenti, Jim, prendine quanto vuoi» aggiunsi, per poi riaffondare nella sedia accanto a Jim e tornai a guardare lo schermo. La casualità di quel gesto, in mezzo a una serata così carica di significati profondi, mi fece sorridere da sola. Era strano come, nonostante la serietà dei temi trattati, ci fossero sempre momenti di leggerezza quotidiana a riportarci alla realtà.
La luce del monitor illuminava i suoi lineamenti concentrati mentre seguiva la trama, e io mi sentivo incredibilmente grata per quella serata insieme, per la possibilità di condividere con lui tanto il sublime quanto il banale della vita.

Alla fine dell'opera, guardai Jim. «Che cosa ne pensi?» chiesi, cercando di capire se anche lui avesse trovato dei paralleli nelle nostre esperienze. «È davvero una storia pesante. Forse dovremmo modificare qualche scena per alleggerirla un po', magari cambiare il finale, renderlo meno tragico. Oppure, se preferisci, possiamo cercare un'altra rappresentazione, magari una commedia... anche se ho il timore che Shakespeare sia una fregatura e sia troppo pesante. Che ne dici se facessimo una scena da "Canto di Natale"? Anche se Natale è ancora lontano, potrebbe essere divertente e meno pesante. Ho una mezza idea di quale potrebbe essere una scena carina. Sempre se per te può andare bene, mi è tornata in mente prima e...» dissi, ricordando una rappresentazione a cui avevo partecipato quando ero più giovane, poi ammettere  «Scusa l'entusiasmo, ma mi sono ricordata di questa storia che adorai da adolescente e forse so come potremmo modificarla» ammisi.
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#45

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James T. Kirk | Human

Jim non poté fare a meno di sorridere con affetto di fronte all'entusiasmo che Carol aveva dimostrato di fronte alla vista di quel libro prendi pure, è tuo se vuoi. offrì. C'è una piccola libreria a Utopia Planitia, l'ho scoperta per caso quella volta che siamo rimasti bloccati su Marte per una settimana. In realtà cercavo un bar, ma ho finito per rientrare a bordo con una pila di libri... se lo prendi mi si libera un po' di spazio per la prossima volta che distruggerò la nave e saremo costretti a un'altra settimana di sosta in cantiere scherzò sapendo che, nonostante le continue raccomandazioni di Scotty, non si trattava di un'eventualità poi così remota.

Fu solo quando Carol gli chiese se stesse bene che Jim si rese conto di essersi lasciato sfuggire un'espressione forse un po' troppo pensierosa e stiracchiò un sorriso sono stati due giorni un po' intensi, mi passerà. promise, evadendo almeno in parte la domanda mentre tornava a sedersi, per poi far partire lo spettacolo. Conosceva il testo, certo, ma non aveva mai assistito a quello spettacolo prima di allora e sentire delle persone in carne ed ossa declamare le parole di Shakespeare faceva un effetto diverso che leggerle su una pagina: alcune delle scene erano molto più intense in quella versione rispetto a quanto ricordava e si ritrovò a perdersi nello spettacolo. Levò un'occhiata interrogativa solo quando Carol si alzò. Per una frazione di secondo si chiese se, per caso, quello spettacolo non la stesse annoiando, ma le sue preoccupazioni si dissolsero in fretta quando lei chiese di non interrompere il video mentre raggiungeva il replicatore. Pochi istanti dopo la vide tornare con una porzione decisamente generosa di popcorn che gli offrì senza esitare. Grazie! rispose allegramente lui, strappandole un bacio. Sapeva perfettamente che lei intendeva offrigli quelli nella ciotola tra le sue mani, ma non intendeva rinunciare a un'opportunità tanto ghiotta, anche a costo di qualche protesta fintamente risentita.

Quando la riproduzione terminò, Jim si stiracchiò. Non chiedermi la recensione di un'opera shakespeariana a quest'ora la pregò di rimando, preferendo tenere per sé le proprie riflessioni. Quando però lei commentò che si trattava di una storia pesante non poté fare a meno di annuire ... anche perché l'idea sarebbe distrarre gli spettatori dalla routine a bordo, non dare loro il colpo di grazia convenne, provando ad intuire dove volesse andare a puntare il discorso di lei. Canto di Natale... Dickens? chiese, cercando di associare quel titolo all'opera. Non scusarti, mi piace l'idea di qualcosa di leggero e sono curioso di sentire le tue idee... ma potremmo rimandare a domani, quando sarò sufficientemente lucido per seguirti? chiese, trattenendo a fatica uno sbadiglio mentre le porgeva il libro che era rimasto sul tavolo.
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#46

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Carol Marcus Umana

Sorrisi divertita quando Jim mi offrì il libro con un gesto affettuoso, una generosità che mi fece sentire incredibilmente fortunata. Mentre parlava di Utopia Planitia e della sua libreria, non potei fare a meno di ridere, ricordando quando mi raccontò di quella volta che aveva scoperto una piccola libreria lì mentre cercava un bar. L'immagine di Jim che torna a bordo con una pila di libri anziché un caffè mi fece sorridere di nuovo.
«Non so se sperare che tu distrugga la nave di nuovo, solo per vedere cosa riesci a trovare la prossima volta!», dissi ridacchiando, mentre ammiccavo e accettavo il libro.
«Va bene, lo prenderò in prestito, e prometto di trattarlo con cura. Sai, non voglio essere responsabile della distruzione di una rarità di carta.» dissi e anche se era una battuta, sapevo che c'era un fondo di verità: con Jim, la possibilità che un'avventura si trasformasse in disastro non era mai del tutto remota.

Quando gli chiesi se stesse bene, notai che si stiracchiò un sorriso, forse per nascondere un pensiero che lo aveva colpito più di quanto volesse ammettere. Jim mi rassicurò con un sorriso un po' stirato, dicendo che erano stati due giorni intensi e che gli sarebbe passato. Non ero del tutto convinta, ma decisi di non insistere. Sapevo che anche Jim aveva bisogno del suo spazio, e avevo imparato a rispettarlo, anche se non potevo fare a meno di chiedermi cosa lo turbasse.

Mentre il dramma si svolgeva davanti a noi, mi accorsi di quanto fosse diverso sentire quelle parole declamate ad alta voce, piuttosto che leggerle in solitudine. Le emozioni che trasparivano dalle scene erano più intense di quanto ricordassi, e mi ritrovai immersa nella storia in un modo che non avevo previsto. Quando dopo aver preso i popcorn mi sedetti di nuovo accanto a Jim, mettendo la ciotola tra noi, e Jim, con un’allegria che mi fece sorridere, mi ringraziò e approfittò dell’occasione per rubarmi un bacio; cogliendomi di sorpresa. «Ehi!» protestai ridendo, ricambiando il bacio dandogliene uno sulla guancia, ma il calore del suo gesto mi fece sentire più vicina a lui in quel momento.

Annuii quando mi chiese di Dickens e stavo per dirgli della mia idea quando notai che stava trattenendo uno sbadiglio, chiedendo se potevamo parlarne l'indomani, capii che era il momento di rimandare ulteriori discussioni.

Lo presi con un sorriso, apprezzando il momento di complicità tra di noi. «D'accordo, ne parleremo con calma domani allora» risposi, accarezzando con affetto la copertina del libro. «E grazie per questo, davvero. Ci penserò su e magari mi verrà un’idea geniale, migliore di quella che ho attualmente, per una scena da recitare insieme.. ma per ora, è meglio che riposiamo. Ci vediamo domani?» chiesi per sicurezza.
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#47

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James T. Kirk | Human

Alla domanda di Carol, Jim annuì Non preoccuparti di trovare l'idea perfetta, tanto ci sono buone probabilità che te la rovinerò con la mia recitazione ridacchiò, stiracchiandosi sulla sedia prima di alzarsi ... facciamo per domani sera a orario da definire? Passerò di nuovo la giornata alla conferenza di pace e non ho idea di quando riuscirò a liberarmi spiegò, mentre la sua mente tornava a vagare altrove: in realtà la conferenza non era l'unica cosa che aveva in programma per il giorno seguente. Qualcosa nel rapporto ufficiale sull'incidente all'ambasciatore non lo aveva del tutto convinto e aveva intenzione di condurre una piccola indagine indipendente, ma aveva il sospetto che la cosa non avrebbe fatto molto piacere agli elkariani, considerando che già la sua presenza alla conferenza non sembrava essere particolarmente gradita da nessuna delle parti in causa. Scendere in dettagli non avrebbe fatto altro che preoccupare Carol inutilmente e, in quel momento, era probabilmente l'ultima cosa di cui lei avesse bisogno.

Jim si stropicciò gli occhi, allontanando quel pensiero prematuro: in fondo c'era anche qualche probabilità di cui preferiva non conoscere il valore numerico che tutto filasse per il verso giusto! Nell'alzare nuovamente lo sguardo su Carol non riuscì a trattenere un sorriso sornione: sto cominciando ad invidiare quel libro la punzecchiò, notando l'affetto con cui lei ne aveva accarezzato la copertina. Per un istante fu sul punto di aggiungere qualcosa e invitarla a passare la notte con lui, ma subito abbassò lo sguardo, cercando di concentrarsi su quanto avrebbe fatto l'indomani. Ti accompagno alla tua cabina decise, offrendole il braccio nella farsesca imitazione di un gentiluomo di altri tempi ... non si sa mai che razza di gente potresti incontrare in giro a quest'ora scherzò, consapevole che molto probabilmente l'incontro peggiore che potesse fare su quella nave era proprio lui.

Le luci a quell'ora erano ridotte nel tentativo di simulare un'illuminazione notturna e i corridoi, solitamente attraversati da un allegro viavai, erano ormai quasi deserti. Un giovane ufficiale li superò a passo svelto e Jim era quasi sicuro di aver intravisto qualcuno in un'uniforme blu svoltare l'angolo, ma tutto sommato la nave era insolitamente tranquilla. Non ci volle molto perché raggiungessero l'alloggio di lei e Jim si fermò sulla soglia 'Notte... augurò, deciso a proseguire quella passeggiata in direzione dell'infermeria non appena Carol fosse rientrata nella propria cabina.


mi manderesti Bones per un paio di post?
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#48

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Carol Marcus Umana

Non potei fare a meno di sorridere di fronte alla battuta di Jim. «Oh, non sottovalutarti troppo. Potresti sorprendermi con la tua recitazione» replicai, lasciandomi andare a un tono leggero e divertito. Vedere quanto ci stessimo godendo questi piccoli momenti insieme mi faceva riflettere su come, nonostante tutto il caos e le difficoltà che la vita a bordo portava, riuscissimo comunque a ritagliarci questi spazi di complicità. Era qualcosa che avevo iniziato a dare per scontato, ma mi resi conto di quanto in realtà fossero preziosi.

Quando Jim si stiracchiò sulla sedia e si alzò, mi preparai a salutarlo, ma il suo sguardo si fece un po’ più serio. «Facciamo per domani sera a orario da definire? Passerò di nuovo la giornata alla conferenza di pace e non ho idea di quando riuscirò a liberarmi» spiegò, lasciando intravedere una leggera tensione. Sapevo che quelle trattative non erano semplici e che lo stavano logorando più di quanto volesse ammettere. Annuii, cercando di non mostrargli la mia preoccupazione. «Va bene, quando riesci a liberarti, fammi sapere. Sarò qui ad aspettarti» dissi con un sorriso che speravo potesse rasserenarlo almeno un po’.

Notai che Jim sembrava assorto nei suoi pensieri, il che mi fece pensare che la conferenza non fosse l’unica cosa a preoccuparlo. Lui era così: sempre pronto a mettere gli altri al primo posto, a evitare di condividere certe preoccupazioni se pensava che potessero causarmi inutili ansie. Per un attimo fui tentata di chiedergli di più, ma decisi di rispettare il suo silenzio. Conoscevo abbastanza bene Jim da sapere che, se fosse stato necessario, me ne avrebbe parlato.

Mi stavo perdendo nei miei pensieri quando lo sentii commentare con quel suo tipico tono malizioso: «Sto cominciando ad invidiare quel libro.» Sorrisi, quasi ridendo, mentre istintivamente accarezzavo ancora una volta la copertina. «Ammettilo, sei solo geloso perché finalmente qualcosa non deve presenziare come ambasciatore» ribattei, cercando di stemperare il momento con un po’ di ironia.

Jim si stropicciò gli occhi, visibilmente stanco, ma mantenne quell’aria sorniona che tanto mi piaceva. Per un istante i suoi occhi incontrarono i miei, e sembrò sul punto di dire qualcosa, ma poi abbassò lo sguardo. C’era una dolcezza in lui in quei momenti, un contrasto con l’immagine di capitano spavaldo che mi faceva apprezzare ancora di più il tempo che passavamo insieme.

«Ti accompagno alla tua cabina» disse, offrendomi il braccio con una teatrale imitazione di un gentiluomo d’altri tempi. «[color=#0074D9][b]Non si sa mai che razza di gente potresti incontrare in giro a quest’ora» aggiunse scherzando. Accettai il braccio, ridacchiando. «Beh, finora l’incontro peggiore... o migliore... sei stato tu, quindi direi che sono al sicuro» ribattei con un tono divertito.

Le luci a quell’ora erano attenuate, cercando di simulare una sorta di notte, ma la nave non dormiva mai completamente. I corridoi, solitamente affollati e pieni di vita, ora erano quasi deserti. Incontrammo solo un giovane ufficiale che ci superò di fretta, e intravidi una figura in uniforme blu girare un angolo. Era strano vedere l’Enterprise così silenziosa, quasi rilassante in un certo senso.

Raggiungemmo la mia cabina in poco tempo, e Jim si fermò sulla soglia, lasciando che la sua mano si staccasse dal mio braccio con delicatezza. «’Notte» disse con semplicità, ma con un calore che non passò inosservato. Mi accorsi che non aveva intenzione di fermarsi e, per un istante, ebbi la sensazione che volesse continuare a parlare, magari a confidarsi, ma poi lo vidi già rivolto verso il corridoio, probabilmente diretto nuovamente da dove eravamo arrivati.

«Buonanotte, Jim» risposi con un sorriso sincero, prima di entrare nella mia cabina. Mentre la porta si chiudeva alle mie spalle, non potei fare a meno di riflettere su quanto fosse strano il nostro legame. Era forte, ma allo stesso tempo, c’erano ancora così tante cose non dette tra di noi, preoccupazioni che preferivamo tenere per noi stessi. Era un equilibrio precario tra l’essere aperti e il voler proteggere l’altro dalle proprie inquietudini.

Mi sedetti sul letto, ancora con il libro tra le mani. Non ero sicura di cosa stesse passando per la testa di Jim, ma sapevo che qualunque fosse la sua preoccupazione, l’avrebbe affrontata a modo suo. Non mi restava che fidarmi di lui, così come lui si fidava di me.


I don't need a doctor, damn it! I am a doctor!

Leonard McCoy Umano

Ero esausto. L'interminabile giornata trascorsa sembrava non avere fine, e la visita medica all'ambasciatore era stata tanto inconcludente quanto frustrante. Non c'era nulla di evidente, nulla di significativo che potessi utilizzare per fare un passo avanti. Avevo esaminato ogni possibile sintomo, fatto tutti i test che potevano essere eseguiti a bordo dell'Enterprise, eppure mi ritrovavo con un pugno di mosche in mano.

Ero andato nella mia stanza, feci una doccia ma mi ritrovai a camminare di nuovo lentamente verso l'infermeria, la stanchezza mi pesava sulle spalle come un macigno. Sapevo che avrei dovuto andare a dormire, chiudere gli occhi e lasciare che il sonno mi portasse via tutta quella frustrazione. Ma la mia mente era troppo attiva, troppo inquieta per permettermi di staccare davvero. Non riuscivo a smettere di pensare al caso dell'ambasciatore, a cosa potessi essermi perso, a come avrei potuto fare di più. Forse era solo il mio ego da medico, quel bisogno di trovare sempre una soluzione, di avere sempre una risposta.

Mi ritrovai davanti alla mensa, e senza pensarci troppo, entrai. L'idea di un altro caffè mi attraversò la mente, ma sapevo che non sarebbe stato sufficiente. Ne avevo già bevuti troppi oggi, e il pensiero di un energy drink mi tentò. Forse quella sarebbe stata la spinta di cui avevo bisogno per continuare, per riflettere ancora un po' su cosa potesse sfuggirmi.

Mi avvicinai al replicatore, con le mani che quasi tremavano dalla stanchezza. «Energy drink» ordinai, ma poi mi fermai un attimo prima di confermare la richiesta. Esitai, guardando la selezione davanti a me. Era questo che volevo davvero? Forse stavo solo cercando una scusa per evitare di ammettere che avevo bisogno di riposo. Eppure, la voglia di risolvere quel mistero mi impediva di staccare.

Alla fine, optai per il caffè. Era un'abitudine ormai radicata, una sorta di compagno silenzioso che mi aveva sempre aiutato nei momenti più difficili; ma anche mentre lo sorseggiavo, sapevo che non avrebbe fatto altro che prolungare il mio stato di veglia, mantenendomi in questo limbo di stanchezza e ossessione.

Mi sedetti a uno dei tavoli della mensa, osservando il liquido nero nella mia tazza. Non era solo l'ambasciatore a tenermi sveglio, lo sapevo bene. C'erano sempre mille pensieri che mi attraversavano la mente, e la maggior parte di essi riguardava il benessere dell'equipaggio, la responsabilità che sentivo pesare su di me. Eppure, in quel momento, mi sentii solo, come se quella tazza di caffè fosse l'unica cosa che mi tenesse compagnia.

Avrei dovuto andare a dormire, lo sapevo, ma invece rimasi lì, con la tazza tra le mani, cercando disperatamente di trovare una soluzione che forse non c'era.
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#49

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James T. Kirk | Human

Le parole di Carol risuonavano ancora nella mente di Jim quando lui raggiunse l'infermeria: la promessa che l'avrebbe trovata ad aspettarlo al proprio ritorno lo aveva costretto a riflettere e si era ritrovato a chiedersi per quanto sarebbe stata disposta a farlo. Non aveva alcun dubbio che lei sarebbe stata ancora a bordo quando lui avesse terminato la conferenza, e probabilmente felice di trascorrere qualche ora assieme, ma non era altrettanto sicuro che sarebbe stata ancora lì quando sarebbe finalmente riuscito a decidere che parte, quel figlio inatteso, avrebbe avuto nella sua vita.

Capitano, posso aiutarla? chiese solerte l'infermiera del turno di notte e Jim si riscosse dai propri pensieri no, faccia come se non ci fossi. rispose lui guardandosi attorno in cerca dell'ambasciatore. L'uomo si trovava su uno dei bioletti, ancora privo di conoscenza: la strumentazione a cui era collegato continuava a disegnare una serie di grafici che non era del tutto in grado di leggere ma, da quel poco che capiva, idicavano che non si trovava in buone condizioni. Se avesse dovuto avanzare un'ipotesi, avrebbe detto che nulla era cambiato da quando lo aveva visto il giorno precedente. Fece per avvicinarsi al bioletto, quando all'improvviso l'infermiera gli si parò davanti, sbarrandogli la strada. Il dottor McCoy ha dato indicazione di non lasciare avvicinare nessuno spiegò lei con aria determinata.

Jim fece un passo indietro, sfoderando un sorriso Suvvia... Nancy? chiese, rimproverandosi mentalmente per non aver prestato sufficiente attenzione al nome della donna quando l'aveva incontrata per la prima volta ... nemmeno il capitano? chiese speranzoso. Soprattutto il capitano. ribatté prontamente lei ... e mi chiamo Nicole. Dovrà parlarne domattina con il dottor McCoy. si sentì in dovere di precisare con fare perentorio. Nicole! Giusto... si corresse Jim, alzando le mani in segno di resa e ritornando sui propri passi, sebbene non fosse realmente pronto ad arrendersi: aveva bisogno di parlare con l'ambasciatore solo per pochi minuti, aveva un paio di domande da porgli che avrebbero potuto fare chiarezza sulle incongruenze degli elkariani e non poteva permettersi di aspettare che l'uomo si riprendesse per conto proprio. Aveva sperato di poter approfittare della tranquillità della sera per aggirare le raccomandazioni del medico, ma evidentemente Bones lo aveva anticipato, anche se con un po' di pazienza era certo di poter circuire l'infermiera e convincerla a dargli una mano... il suo errore era stato semplicemente presentarsi a mani vuote, così si diresse verso la sala mensa, con l'intenzione di replicarle del caffè.

Aveva appena raggiunto il replicatore quando qualcosa si mosse nella penombra. Non gli ci volle molto per riconoscere la figura... e che le probabilità di successo del suo piano per infiltrare l'infermeria si erano appena ridotte drasticamente. Jim sospirò, costringendosi a rivedere i propri programmi. Bevi senza invitarmi? chiese avvicinandosi al tavolo dove era seduto il medico. Prese posto accanto a lui e sollevò la tazza per annusarne il contenuto. Caffè? chiese perplesso ... speravo in un brandy sauriano ammise, riconsegnando il contenitore con fare deluso, per poi osservare con più attenzione lo sguardo dell'uomo. Sembrava stanco, ma qualcosa suggerì a Jim che non si trattava dell'ora tarda. Non solo, almeno. Hai l'aria di qualcuno che ha bisogno di un amico. azzardò.
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#50

I don't need a doctor, damn it! I am a doctor!

Leonard McCoy Umano

La giornata era stata interminabile e non accennava a migliorare. Ero sfinito, e non era solo la stanchezza fisica che mi appesantiva le spalle e rendeva ogni movimento un piccolo sforzo. La frustrazione di un caso medico senza risposte chiare mi rodeva dentro, mescolandosi alla consapevolezza che, a bordo dell’Enterprise, il riposo era spesso una chimera.

L’ambasciatore giaceva ancora privo di conoscenza, collegato a una serie di strumenti che non facevano altro che confermare ciò che già sapevo: nessun miglioramento, nessuna nuova pista. E io, come un idiota, continuavo a cercare il bandolo della matassa, convinto che se avessi guardato abbastanza a lungo quei maledetti grafici, avrei trovato la chiave di tutto. Ma non c’era niente. Solo incertezze e dati inconcludenti.

Stavo seduto da solo, la tazza tra le mani a fissare lo schermo, il pensiero di tornare in infermeria che continuava a fare capolino nella mia testa. Perché? Perché dovevo insistere a restare sveglio quando sapevo che non avrei risolto nulla? Eppure, l’idea di rimanere senza risposte, o peggio ancora di non essere presente se qualcosa fosse andato storto, mi impediva di mollare.

Stavo sorseggiando il caffè, perso nei miei pensieri, quando una figura emerse dalla penombra. Sentii Jim avvicinarsi prima ancora di vederlo, con quel passo rilassato che riesce a mantenere anche quando è immerso in chissà quali riflessioni.

«Bevi senza invitarmi?» domandò con quel tono scherzoso che solo lui può tirare fuori alle ore più assurde della notte. Non potei fare a meno di ridere internamente. Tipico di Jim: sempre lì a fare battute anche quando le sue preoccupazioni si accumulano come macigni.

«Non credevo avessi bisogno di un invito per unirti» risposi, cercando di scuotermi dal torpore. Jim prese posto accanto a me, annusando la mia tazza come per scoprire se contenesse qualcosa di più interessante.

«Caffè?» chiese, perplesso, evidentemente deluso. «Speravo in un brandy sauriano.» ammise, restituendomi la tazza con un sorriso ironico.

«Se trovassi un brandy sauriano a quest’ora, non lo condivideresti nemmeno con me, ma se vuoi tiro fuori la bottiglia.» ribattei, lasciando intravedere un mezzo sorriso che non raggiunse del tutto i miei occhi.

Jim mi osservò per qualche istante in silenzio, con quella sua capacità quasi innata di capire quando qualcosa non va. «Hai l'aria di qualcuno che ha bisogno di un amico» disse con una nota di preoccupazione. Lo conoscevo troppo bene per ignorare la sincerità dietro quelle parole.

Non risposi subito, prendendo un sorso di caffè per guadagnare tempo e riflettere. Aveva ragione, ma non volevo ammetterlo. «Sono solo stanco, Jim» risposi, ma sapevo che non avrebbe accettato una risposta così semplice.

Sospirai e appoggiai la tazza sul tavolo. «È l’ambasciatore. Non riesco a capire cosa c’è che non va. Ho provato tutto, ogni esame, ogni analisi… e non riesco a trovare una dannata soluzione. E nel frattempo, tu sei qui a cercare di gestire una conferenza che sembra una bomba a orologeria. Tutto questo, tutto insieme… a volte è troppo, anche per noi

Non c’era bisogno di nascondermi dietro scuse con Jim. Lui sapeva cosa significava portare quel tipo di responsabilità sulle spalle. E sapevo che, nonostante il suo tono leggero, anche lui aveva i suoi fantasmi.

«Sai, a volte mi chiedo perché continuo a fare questo lavoro» continuai, più per liberarmi di quel pensiero che mi tormentava da un po’. «Ogni tanto mi sembra di essere solo uno che tiene in piedi la baracca, sperando che non crolli tutto da un momento all’altro.» Guardai Jim negli occhi, cercando un po’ di conforto, anche se sapevo che la risposta l’avrei dovuta trovare da solo.

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