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USS Eternity Off-duty
#11

T'Kaat

Vulcan/Q

Le sue dita premono un ultima volta contro il tessuto andoriano per poi scivolare verso il basso, staccarsi dai fianchi e ricongiungersi, intrecciandosi, dietro la schiena. Quale altra posizione potrebbe dirsi più appropriata per ascoltare ciò che l’ufficiale sta dicendo? Non che si aspettasse nulla di diverso, sia chiaro - anzi, aveva immaginato una reazione più neutra. I suoi muscoli sono di nuovo tesi e rigidi, il viso dritto, con il mento sollevato per guardar bene quello del più alto interlocutore. Ma sono proprio alcune delle espressioni che vi legge, per lo più veicolate dal movimento delle sopracciglia, insieme all’uso di termini come “accusa”, “imputabile”, “fazioso”, a... divertirla, in un certo senso. Che sia presente o meno, lei è sicura di leggere, nascosto sotto la loro sottana, un certo coinvolgimento emotivo, perfino una certa permalosità, ma più che altro l’orgoglio, e il timore che necessariamente ne deriva.
Certo, questo senso di soddisfazione non impedisce al suo elemento infantile di prendersi ancora un’altra piccola rivincita. Osserviamo il suo viso: l’espressione impassibile con la quale segue i movimenti che il Comandante compie camminando da sinistra verso destra, e viceversa, subisce ad un tratto quello che si può paragonare ad un cortocircuito. Proprio come in quel caso ci si ritrova ad avere resistenza e tensione nulla tra due punti di un circuito elettrico, ora possiamo cogliere lo stesso tipo di assenza tra due punti temporali molto vicini tra loro: non appena il vulcaniano le rivolge le spalle, la precedente tensione muscolare cede e lascia il posto ad un riassemblamento alquanto... inusuale, se si considera il contesto. Ebbene sì, si tratta di una linguaccia, con tanto di naso arricciato.
Ovviamente, nel momento in cui si trovano di nuovo faccia a faccia, la corrente è ritornata a scorrere normalmente... più o meno. In realtà, forse anche grazie a quest’ultimo sfogo, qualcosa sta di nuovo lentamente cambiando nella percezione della giovane altalena Guardiamarina.
Mentre Salkhar procede nell’esporre con rigore e intensità la propria antitesi, ci si aspetterebbe in lei un incremento del disappunto e del contrasto. Ci si aspetterebbe una risposta, se non irosa, per lo meno ancora stizzita - un dibattito, insomma. Il suo volto, invece, si distende: una metamorfosi in un lento battito di ciglia. Nei pochi secondi di silenzio che seguono la chiusura del ragionamento dell’altro, nella sua mente si incontrano due rotte di pensiero: considerazioni ancora figlie e madri di Pólemos, lenite e smussate dagli echi degli insegnamenti e dei discorsi dell’imperturbabile saggio, del mentore che le ha voluto fornire gli strumenti per armonizzare il suo caos interiore.
“La logica è un’amica volubile, Comandante. Si piega al volere di chiunque sia abbastanza sveglio e forte da domarla. Gli esseri umani primitivi la usavano per dimostrare l’esistenza della loro divinità; su Betazed la applicano con successo alle emozioni. Ragionamenti antitetici e privi di fallacie interne... chissà quanti ne esistono nell’universo. Alla base di ognuno, una diversa credenza sotto forma di postulato. Per non parlare dei diversi tipi di logica che la logica stessa ammette... Chi sei tu? Sento di volerti conoscere... mi piace giocare con te... Sei interessante, forse addirittura affascinante.”
Nel frattempo, anche i suoi occhi sono cambiati. Il dilatamento delle pupille li fa apparire più grandi, ma più che le dimensioni colpisce il fatto che siano un po’ lucidi, sognanti. Il suo discorso interiore non è udibile, ma essi sono perfettamente in grado di fungere come testimonianza esterna di una decisione presa con qualcosa che assomiglia molto alla solennità.
Il fischio e la voce del computer attraverso gli altoparlanti interrompono i suoi pensieri. Un altro battito di ciglia, e il discorso sui nomi passa addirittura inosservato. La sua mano segue in un saluto simmetrico quella dell’ufficiale ora richiesto altrove. « Sochya. », pronuncia in quello che è poco più di un sussurro. Gli incisivi superiori affondano appena nel labbro inferiore: un piccolo gesto che tradisce un momento di esitazione. È il caso di fare una richiesta del genere? È appropriato? Sicuramente non ha un collegamento sensato e coerente con quello che è lei ha detto fino ad ora - o meglio, il collegamento è solo una riflessione muta ed interiore, spinta da un’esigenza inconscia. D’altra parte, l’esitazione non è qualcosa che questo scricciolo gettato nell’universo riesce ad assecondare a lungo. « Se ne avrà possibilità e volontà, mi farebbe piacere ascoltare i suoi racconti, le sue memorie del vecchio pianeta, di Vulcano. » Abbassa la mano. « Signore. » Aggiunge. Ora può voltarsi a sua volta, e dirigersi nella direzione opposta. C’è un bastone, in quella palestra, che aspetta di essere messo al suo posto, e ci sono delle computazioni, nel suo alloggio, che aspettano di essere portate e discusse giù in Ingegneria - un altro diletto personale, insomma, per riempire il tempo rimasto prima del prossimo turno in plancia.
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