24-08-2024, 09:07 PM
I don't need a doctor, damn it! I am a doctor!
Leonard McCoy Umano
La giornata era stata interminabile e non accennava a migliorare. Ero sfinito, e non era solo la stanchezza fisica che mi appesantiva le spalle e rendeva ogni movimento un piccolo sforzo. La frustrazione di un caso medico senza risposte chiare mi rodeva dentro, mescolandosi alla consapevolezza che, a bordo dell’Enterprise, il riposo era spesso una chimera.
L’ambasciatore giaceva ancora privo di conoscenza, collegato a una serie di strumenti che non facevano altro che confermare ciò che già sapevo: nessun miglioramento, nessuna nuova pista. E io, come un idiota, continuavo a cercare il bandolo della matassa, convinto che se avessi guardato abbastanza a lungo quei maledetti grafici, avrei trovato la chiave di tutto. Ma non c’era niente. Solo incertezze e dati inconcludenti.
Stavo seduto da solo, la tazza tra le mani a fissare lo schermo, il pensiero di tornare in infermeria che continuava a fare capolino nella mia testa. Perché? Perché dovevo insistere a restare sveglio quando sapevo che non avrei risolto nulla? Eppure, l’idea di rimanere senza risposte, o peggio ancora di non essere presente se qualcosa fosse andato storto, mi impediva di mollare.
Stavo sorseggiando il caffè, perso nei miei pensieri, quando una figura emerse dalla penombra. Sentii Jim avvicinarsi prima ancora di vederlo, con quel passo rilassato che riesce a mantenere anche quando è immerso in chissà quali riflessioni.
«Bevi senza invitarmi?» domandò con quel tono scherzoso che solo lui può tirare fuori alle ore più assurde della notte. Non potei fare a meno di ridere internamente. Tipico di Jim: sempre lì a fare battute anche quando le sue preoccupazioni si accumulano come macigni.
«Non credevo avessi bisogno di un invito per unirti» risposi, cercando di scuotermi dal torpore. Jim prese posto accanto a me, annusando la mia tazza come per scoprire se contenesse qualcosa di più interessante.
«Caffè?» chiese, perplesso, evidentemente deluso. «Speravo in un brandy sauriano.» ammise, restituendomi la tazza con un sorriso ironico.
«Se trovassi un brandy sauriano a quest’ora, non lo condivideresti nemmeno con me, ma se vuoi tiro fuori la bottiglia.» ribattei, lasciando intravedere un mezzo sorriso che non raggiunse del tutto i miei occhi.
Jim mi osservò per qualche istante in silenzio, con quella sua capacità quasi innata di capire quando qualcosa non va. «Hai l'aria di qualcuno che ha bisogno di un amico» disse con una nota di preoccupazione. Lo conoscevo troppo bene per ignorare la sincerità dietro quelle parole.
Non risposi subito, prendendo un sorso di caffè per guadagnare tempo e riflettere. Aveva ragione, ma non volevo ammetterlo. «Sono solo stanco, Jim» risposi, ma sapevo che non avrebbe accettato una risposta così semplice.
Sospirai e appoggiai la tazza sul tavolo. «È l’ambasciatore. Non riesco a capire cosa c’è che non va. Ho provato tutto, ogni esame, ogni analisi… e non riesco a trovare una dannata soluzione. E nel frattempo, tu sei qui a cercare di gestire una conferenza che sembra una bomba a orologeria. Tutto questo, tutto insieme… a volte è troppo, anche per noi.»
Non c’era bisogno di nascondermi dietro scuse con Jim. Lui sapeva cosa significava portare quel tipo di responsabilità sulle spalle. E sapevo che, nonostante il suo tono leggero, anche lui aveva i suoi fantasmi.
«Sai, a volte mi chiedo perché continuo a fare questo lavoro» continuai, più per liberarmi di quel pensiero che mi tormentava da un po’. «Ogni tanto mi sembra di essere solo uno che tiene in piedi la baracca, sperando che non crolli tutto da un momento all’altro.» Guardai Jim negli occhi, cercando un po’ di conforto, anche se sapevo che la risposta l’avrei dovuta trovare da solo.
L’ambasciatore giaceva ancora privo di conoscenza, collegato a una serie di strumenti che non facevano altro che confermare ciò che già sapevo: nessun miglioramento, nessuna nuova pista. E io, come un idiota, continuavo a cercare il bandolo della matassa, convinto che se avessi guardato abbastanza a lungo quei maledetti grafici, avrei trovato la chiave di tutto. Ma non c’era niente. Solo incertezze e dati inconcludenti.
Stavo seduto da solo, la tazza tra le mani a fissare lo schermo, il pensiero di tornare in infermeria che continuava a fare capolino nella mia testa. Perché? Perché dovevo insistere a restare sveglio quando sapevo che non avrei risolto nulla? Eppure, l’idea di rimanere senza risposte, o peggio ancora di non essere presente se qualcosa fosse andato storto, mi impediva di mollare.
Stavo sorseggiando il caffè, perso nei miei pensieri, quando una figura emerse dalla penombra. Sentii Jim avvicinarsi prima ancora di vederlo, con quel passo rilassato che riesce a mantenere anche quando è immerso in chissà quali riflessioni.
«Bevi senza invitarmi?» domandò con quel tono scherzoso che solo lui può tirare fuori alle ore più assurde della notte. Non potei fare a meno di ridere internamente. Tipico di Jim: sempre lì a fare battute anche quando le sue preoccupazioni si accumulano come macigni.
«Non credevo avessi bisogno di un invito per unirti» risposi, cercando di scuotermi dal torpore. Jim prese posto accanto a me, annusando la mia tazza come per scoprire se contenesse qualcosa di più interessante.
«Caffè?» chiese, perplesso, evidentemente deluso. «Speravo in un brandy sauriano.» ammise, restituendomi la tazza con un sorriso ironico.
«Se trovassi un brandy sauriano a quest’ora, non lo condivideresti nemmeno con me, ma se vuoi tiro fuori la bottiglia.» ribattei, lasciando intravedere un mezzo sorriso che non raggiunse del tutto i miei occhi.
Jim mi osservò per qualche istante in silenzio, con quella sua capacità quasi innata di capire quando qualcosa non va. «Hai l'aria di qualcuno che ha bisogno di un amico» disse con una nota di preoccupazione. Lo conoscevo troppo bene per ignorare la sincerità dietro quelle parole.
Non risposi subito, prendendo un sorso di caffè per guadagnare tempo e riflettere. Aveva ragione, ma non volevo ammetterlo. «Sono solo stanco, Jim» risposi, ma sapevo che non avrebbe accettato una risposta così semplice.
Sospirai e appoggiai la tazza sul tavolo. «È l’ambasciatore. Non riesco a capire cosa c’è che non va. Ho provato tutto, ogni esame, ogni analisi… e non riesco a trovare una dannata soluzione. E nel frattempo, tu sei qui a cercare di gestire una conferenza che sembra una bomba a orologeria. Tutto questo, tutto insieme… a volte è troppo, anche per noi.»
Non c’era bisogno di nascondermi dietro scuse con Jim. Lui sapeva cosa significava portare quel tipo di responsabilità sulle spalle. E sapevo che, nonostante il suo tono leggero, anche lui aveva i suoi fantasmi.
«Sai, a volte mi chiedo perché continuo a fare questo lavoro» continuai, più per liberarmi di quel pensiero che mi tormentava da un po’. «Ogni tanto mi sembra di essere solo uno che tiene in piedi la baracca, sperando che non crolli tutto da un momento all’altro.» Guardai Jim negli occhi, cercando un po’ di conforto, anche se sapevo che la risposta l’avrei dovuta trovare da solo.