25-08-2024, 02:20 PM
(Questo messaggio è stato modificato l'ultima volta il: 25-08-2024, 02:21 PM da T'Dal.)
I don't need a doctor, damn it! I am a doctor!
Leonard McCoy Umano
Jim aveva quel modo tutto suo di affrontare le situazioni: un mix di battute taglienti e una risolutezza che non si piega facilmente, e conoscevo quel lato di lui fin troppo bene. Quando si fissava su qualcosa, era difficile convincerlo a lasciar perdere, e l’idea di parlare con l’ambasciatore prima che fosse in condizioni di rispondere era proprio il tipo di ossessione che lo avrebbe tenuto sveglio per notti intere.
Scrollai la testa con un sospiro appena accennato, mentre la sua domanda iniziale su bottiglie “confiscate” mi faceva ridacchiare tra me e me. «Jim, ci sono più segreti su questa nave di quanti ne trovi nei sotterranei del Comando. E non tutti sono autorizzati, se capisci cosa intendo.» Non gli diedi né conferme né smentite, perché in fondo parte del mio lavoro era proprio quello di tenere al sicuro alcune di queste “risorse” per quando la situazione lo richiede. Non che stessi ammettendo di avere effettivamente qualche bottiglia di brandy sauriano nascosta, ma lasciare il dubbio serviva a mantenerlo sulle spine. E, se devo essere sincero, mi divertiva vedere quel lampo sospettoso nei suoi occhi.
Ma quando la conversazione virò sull’ambasciatore e sulla conferenza, capii che la leggerezza doveva cedere il passo a qualcosa di più serio. Le parole di Jim sul nuovo ambasciatore e il suo ruolo di “scalda-sedia” erano ovviamente pensate per sdrammatizzare, ma sapevo che sotto c’era molto di più. «Certo, una passeggiata» risposi con un sorriso tirato. La verità è che entrambi sapevamo quanto fosse tesa la situazione, e il fatto che Jim cercasse di alleggerirla parlando in quel modo dimostrava solo quanto anche lui sentisse la pressione.
Poi, quando si scusò per il giorno precedente, sollevai le mani per fermarlo. «Jim, lascia perdere. So come sei fatto, e se non mi spingessi sempre a cercare una soluzione, probabilmente avrei buttato la spugna già da un pezzo. È solo che stavolta… stavolta è diverso. Non riesco a vedere una strada chiara, e odio quando non riesco a fare il mio lavoro come dovrei.» La frustrazione era reale, ed era anche il motivo per cui mi trovavo lì a sorseggiare caffè invece di essere nel mio letto. Avevo abituato tutti, Jim in primis, a trovare sempre una via d’uscita, a compiere quei “miracoli” che lui dava quasi per scontati... ma, questa volta la situazione era diversa. Era come combattere contro un’ombra, qualcosa di sfuggente e indefinibile.
La sua improvvisa confessione sulla promozione mi colse un po’ di sorpresa. La possibilità di vederlo tornare sulla Terra, magari con Carol e il bambino, era un’immagine che non riuscivo a visualizzare chiaramente. Jim Kirk legato a una scrivania al Comando? Era come immaginare uno spirito libero chiuso in una gabbia dorata. «Beh, non posso dire che mi sorprenda. Il Comando ti tiene d’occhio da anni e sai che non aspettano altro che incatenarti alla Terra con qualche incarico noioso ma prestigioso.» Feci una pausa, osservandolo mentre cercava di mettere ordine nei suoi pensieri. «Ma hai ragione. Lasciare l’Enterprise? Sarebbe un crimine, non solo per te ma per tutti noi. Siamo una squadra, Jim. Non ci siamo spaccati la schiena per costruire qualcosa di così solido solo per lasciarlo andare in pezzi.»
La discussione si fece ancora più delicata quando Jim tentò di giustificare la sua richiesta di parlare con l’ambasciatore. Sapevo che l’informazione che voleva ottenere era cruciale, e che la sicurezza di tutti poteva dipendere da quelle risposte. Ma sapevo anche cosa significava mettere a rischio la vita di un paziente, e non era qualcosa che potevo prendere alla leggera, anche se l’ordine arrivava direttamente da lui. «Jim, non posso permetterti di farlo» dissi con fermezza, anche se con un tono che tradiva la stanchezza. «Non è solo una questione di responsabilità, ma di etica. Non posso metterlo in pericolo senza un motivo medico valido, e lo sai.» Lo guardai negli occhi, sapendo quanto gli costasse anche solo fare quella proposta.
«Capisco la tua urgenza, e non sto dicendo che non trovi un senso a ciò che chiedi. Ma devi darmi il tempo di stabilizzare ulteriormente l’ambasciatore. Solo così possiamo minimizzare i rischi e magari dargli una possibilità di rispondere senza che tu lo rimetta in coma.» Era un compromesso che cercava di tenere insieme la mia etica medica e il suo bisogno di risposte. «D’accordo, mettiamo pure a verbale che hai agito contro il mio giudizio, ma voglio che sia chiaro che la sua vita è già appesa a un filo. Ogni minuto che aspettiamo potrebbe essere decisivo. Spero che ne valga davvero la pena.»
Scrollai la testa con un sospiro appena accennato, mentre la sua domanda iniziale su bottiglie “confiscate” mi faceva ridacchiare tra me e me. «Jim, ci sono più segreti su questa nave di quanti ne trovi nei sotterranei del Comando. E non tutti sono autorizzati, se capisci cosa intendo.» Non gli diedi né conferme né smentite, perché in fondo parte del mio lavoro era proprio quello di tenere al sicuro alcune di queste “risorse” per quando la situazione lo richiede. Non che stessi ammettendo di avere effettivamente qualche bottiglia di brandy sauriano nascosta, ma lasciare il dubbio serviva a mantenerlo sulle spine. E, se devo essere sincero, mi divertiva vedere quel lampo sospettoso nei suoi occhi.
Ma quando la conversazione virò sull’ambasciatore e sulla conferenza, capii che la leggerezza doveva cedere il passo a qualcosa di più serio. Le parole di Jim sul nuovo ambasciatore e il suo ruolo di “scalda-sedia” erano ovviamente pensate per sdrammatizzare, ma sapevo che sotto c’era molto di più. «Certo, una passeggiata» risposi con un sorriso tirato. La verità è che entrambi sapevamo quanto fosse tesa la situazione, e il fatto che Jim cercasse di alleggerirla parlando in quel modo dimostrava solo quanto anche lui sentisse la pressione.
Poi, quando si scusò per il giorno precedente, sollevai le mani per fermarlo. «Jim, lascia perdere. So come sei fatto, e se non mi spingessi sempre a cercare una soluzione, probabilmente avrei buttato la spugna già da un pezzo. È solo che stavolta… stavolta è diverso. Non riesco a vedere una strada chiara, e odio quando non riesco a fare il mio lavoro come dovrei.» La frustrazione era reale, ed era anche il motivo per cui mi trovavo lì a sorseggiare caffè invece di essere nel mio letto. Avevo abituato tutti, Jim in primis, a trovare sempre una via d’uscita, a compiere quei “miracoli” che lui dava quasi per scontati... ma, questa volta la situazione era diversa. Era come combattere contro un’ombra, qualcosa di sfuggente e indefinibile.
La sua improvvisa confessione sulla promozione mi colse un po’ di sorpresa. La possibilità di vederlo tornare sulla Terra, magari con Carol e il bambino, era un’immagine che non riuscivo a visualizzare chiaramente. Jim Kirk legato a una scrivania al Comando? Era come immaginare uno spirito libero chiuso in una gabbia dorata. «Beh, non posso dire che mi sorprenda. Il Comando ti tiene d’occhio da anni e sai che non aspettano altro che incatenarti alla Terra con qualche incarico noioso ma prestigioso.» Feci una pausa, osservandolo mentre cercava di mettere ordine nei suoi pensieri. «Ma hai ragione. Lasciare l’Enterprise? Sarebbe un crimine, non solo per te ma per tutti noi. Siamo una squadra, Jim. Non ci siamo spaccati la schiena per costruire qualcosa di così solido solo per lasciarlo andare in pezzi.»
La discussione si fece ancora più delicata quando Jim tentò di giustificare la sua richiesta di parlare con l’ambasciatore. Sapevo che l’informazione che voleva ottenere era cruciale, e che la sicurezza di tutti poteva dipendere da quelle risposte. Ma sapevo anche cosa significava mettere a rischio la vita di un paziente, e non era qualcosa che potevo prendere alla leggera, anche se l’ordine arrivava direttamente da lui. «Jim, non posso permetterti di farlo» dissi con fermezza, anche se con un tono che tradiva la stanchezza. «Non è solo una questione di responsabilità, ma di etica. Non posso metterlo in pericolo senza un motivo medico valido, e lo sai.» Lo guardai negli occhi, sapendo quanto gli costasse anche solo fare quella proposta.
«Capisco la tua urgenza, e non sto dicendo che non trovi un senso a ciò che chiedi. Ma devi darmi il tempo di stabilizzare ulteriormente l’ambasciatore. Solo così possiamo minimizzare i rischi e magari dargli una possibilità di rispondere senza che tu lo rimetta in coma.» Era un compromesso che cercava di tenere insieme la mia etica medica e il suo bisogno di risposte. «D’accordo, mettiamo pure a verbale che hai agito contro il mio giudizio, ma voglio che sia chiaro che la sua vita è già appesa a un filo. Ogni minuto che aspettiamo potrebbe essere decisivo. Spero che ne valga davvero la pena.»