16-04-2012, 02:16 PM
Salkhar
Vulcan/Romulan
La capsula aveva preso il volo poche ore dopo l’annuncio di imbarco del nuovo personale addetto a prestare servizio sulle navi stellari e il vulcaniano aveva avuto appena il tempo di sistemare qualche effetto personale, in vista della partenza. Il suo primo pensiero lo aveva portato a Sorak, ma sapeva sarebbe stato altamente improbabile riuscire a contattarlo prima di aver raggiunto l’orbita per Earth Spacedock assieme al resto degli ufficiali. Poco male. Avrebbe rimediato non appena ve ne fosse stata l’occasione. Adesso aveva ben altro a cui pensare e poi Sorak non se ne sarebbe preoccupato di certo. Essere privi di emozioni, in fondo, poteva avere i suoi bei vantaggi.
Giunto alla Stazione Stellare, le assegnazioni dei nuovi membri erano state piuttosto celeri, ma c’era da aspettarselo. Almeno per quanto lo riguardava aveva già ricevuto istruzioni su quella che sarebbe stata, a breve, la sua nuova mansione. Era stato il suo mentore ad occuparsi di tutto, come lo stesso si era premurato di avvisarlo in anticipo della nave a cui sarebbe stato assegnato.
“La U.S.S. Eternity è una bambina straordinaria, di classe Excelsior, ma non ha ancora mosso il primo passo.”
Salkahr ridusse gli occhi a due fessure alle parole dell’Ammiraglio. Erano, ormai, tre anni che si occupava della sua istruzione, di tempo per stare a contatto ne avevano avuto più che a sufficienza, ma quell’uomo continuava a restare ancora un mistero per il giovane vulcaniano.
“Signore?” L’espressione accigliata suggeriva un accenno di smarrimento che l’Ammiraglio non poté proprio fingere di non vedere. Salkhar cercò di restare composto e impettito – le mani allacciate dietro la schiena – anche quando ricevette una sonora pacca sulla spalla.
“Ci sarà un equipaggio di settecentocinquanta persone a farLe compagnia, Signor Salkar.” Allungò il passo, l’Ammiraglio, quanto bastava per superare l’andatura del giovane e piazzarsi di fronte a lui. Il vulcaniano si arrestò con molto decoro. “Ventuno ponti, quattrocentosessantasette metri di lunghezza per centottantasei di larghezza e neppure un maledetto angolo per starsene in pace un momento!” Gesticolò platealmente, il suo superiore. Se aveva imparato a capire qualcosa degli Umani in quei tre anni, avrebbe scommesso che l’uomo trovasse la cosa alquanto divertente.
“Non è esatto, Signore.” Si permise di contraddirlo. Il volto neutro, come lo era da tutta una vita. “Ogni addetto ha diritto ad un proprio alloggio personale.” Sollevò il mento appena, ma era abbastanza a conferirgli un’aria di saccenza. “Pertanto, sarebbe logico dedurre che un posto per res…” Non gli riuscì di terminare la frase. Capì che fosse sufficiente quando l’Ammiraglio gli propinò un cenno della mano allegato ad un sorriso… allietato, forse?
“Si rilassi, Comandante. La attendono lunghe giornate di duro lavoro.”
“Le garantisco che non saranno un problema, Signore. I vulcaniani possono restare attivi e in perfetta efficienza per settimane, se necessario.”
L’espressione sconsolata dell’Ammiraglio era tutto un dire, ma Salkhar non sembrò neppure accorgersene.
“Beh, comunque cerchi di godersi gli ultimi momenti di libertà che Le restano a disposizione.” Concluse, prima di picchiettargli il palmo della destrorsa sulla guancia adiacente. “Buona fortuna.” Augurò, allontanandosi.
“Pace e lunga vita, Signore.” Bisbigliò quasi, osservandolo sparire tra le masse in fermento. Gli umani erano decisamente una razza complicata da capire. Per quanti sforzi facesse, ogni deduzione veniva poi smentita con l’ennesima mossa inaspettata. Come giocare a battaglia navale e con un avversario che chiami caselle alla rinfusa.
Strinse le labbra appena. Poi decise che non fosse il caso di restare troppo a pensarci. Si avviò, invece, lungo uno dei corridoi, quello costellato ai lati di vetrine da esposizione. Non badò molto a quanto gli scorreva davanti agli occhi, perso in riflessione neanche fosse un androide intento ad archiviare importanti dati. Non era mai uscito fuori dall’hangar. Fino ad allora, le uniche missioni che aveva avuto modo di apprezzare erano state quelle simulate, ma partire alla volta dello spazio aperto era tutta un’altra cosa.
Nervosismo? Ai vulcaniani sono sconosciuti certi tipi di emozioni. Eppure…
Giunto alla Stazione Stellare, le assegnazioni dei nuovi membri erano state piuttosto celeri, ma c’era da aspettarselo. Almeno per quanto lo riguardava aveva già ricevuto istruzioni su quella che sarebbe stata, a breve, la sua nuova mansione. Era stato il suo mentore ad occuparsi di tutto, come lo stesso si era premurato di avvisarlo in anticipo della nave a cui sarebbe stato assegnato.
“La U.S.S. Eternity è una bambina straordinaria, di classe Excelsior, ma non ha ancora mosso il primo passo.”
Salkahr ridusse gli occhi a due fessure alle parole dell’Ammiraglio. Erano, ormai, tre anni che si occupava della sua istruzione, di tempo per stare a contatto ne avevano avuto più che a sufficienza, ma quell’uomo continuava a restare ancora un mistero per il giovane vulcaniano.
“Signore?” L’espressione accigliata suggeriva un accenno di smarrimento che l’Ammiraglio non poté proprio fingere di non vedere. Salkhar cercò di restare composto e impettito – le mani allacciate dietro la schiena – anche quando ricevette una sonora pacca sulla spalla.
“Ci sarà un equipaggio di settecentocinquanta persone a farLe compagnia, Signor Salkar.” Allungò il passo, l’Ammiraglio, quanto bastava per superare l’andatura del giovane e piazzarsi di fronte a lui. Il vulcaniano si arrestò con molto decoro. “Ventuno ponti, quattrocentosessantasette metri di lunghezza per centottantasei di larghezza e neppure un maledetto angolo per starsene in pace un momento!” Gesticolò platealmente, il suo superiore. Se aveva imparato a capire qualcosa degli Umani in quei tre anni, avrebbe scommesso che l’uomo trovasse la cosa alquanto divertente.
“Non è esatto, Signore.” Si permise di contraddirlo. Il volto neutro, come lo era da tutta una vita. “Ogni addetto ha diritto ad un proprio alloggio personale.” Sollevò il mento appena, ma era abbastanza a conferirgli un’aria di saccenza. “Pertanto, sarebbe logico dedurre che un posto per res…” Non gli riuscì di terminare la frase. Capì che fosse sufficiente quando l’Ammiraglio gli propinò un cenno della mano allegato ad un sorriso… allietato, forse?
“Si rilassi, Comandante. La attendono lunghe giornate di duro lavoro.”
“Le garantisco che non saranno un problema, Signore. I vulcaniani possono restare attivi e in perfetta efficienza per settimane, se necessario.”
L’espressione sconsolata dell’Ammiraglio era tutto un dire, ma Salkhar non sembrò neppure accorgersene.
“Beh, comunque cerchi di godersi gli ultimi momenti di libertà che Le restano a disposizione.” Concluse, prima di picchiettargli il palmo della destrorsa sulla guancia adiacente. “Buona fortuna.” Augurò, allontanandosi.
“Pace e lunga vita, Signore.” Bisbigliò quasi, osservandolo sparire tra le masse in fermento. Gli umani erano decisamente una razza complicata da capire. Per quanti sforzi facesse, ogni deduzione veniva poi smentita con l’ennesima mossa inaspettata. Come giocare a battaglia navale e con un avversario che chiami caselle alla rinfusa.
Strinse le labbra appena. Poi decise che non fosse il caso di restare troppo a pensarci. Si avviò, invece, lungo uno dei corridoi, quello costellato ai lati di vetrine da esposizione. Non badò molto a quanto gli scorreva davanti agli occhi, perso in riflessione neanche fosse un androide intento ad archiviare importanti dati. Non era mai uscito fuori dall’hangar. Fino ad allora, le uniche missioni che aveva avuto modo di apprezzare erano state quelle simulate, ma partire alla volta dello spazio aperto era tutta un’altra cosa.
Nervosismo? Ai vulcaniani sono sconosciuti certi tipi di emozioni. Eppure…