27-04-2012, 01:42 AM
Salkhar
Vulcan/Romulan
La Trill non sembrava affatto aver risentito dell’ingerenza da parte del vulcaniano e, anzi, s’era mostrata piuttosto disponibile nel dargli adito. Salkhar non poté che annuire in tacita compiacenza ad entrambe le affermazioni, ulteriori retoriche conferme, poi chinò appena il capo in avanti quand’ella decise che fosse il caso di rompere il ghiaccio.
“Salkar.” Si presentò a sua volta, propinandole una versione quanto meno vulcaniana possibile del suo nome ed evitò deliberatamente di aggiungere il resto, dal momento che a lei sarebbe sembrato impossibile da pronunciare. Sempre che non avesse una certa dimestichezza con la lingua di Vulcano. Facendo un rapido calcolo, una simile eventualità era piuttosto improbabile o, almeno fino ad allora, sulla Terra non aveva avuto il piacere di incontrare troppi xenolinguisti che non fossero molto più interessati ai dialetti di Klingon o di Romulus. Però, ad avere a che fare coi terrestri, anche la giovane aliena doveva aver imparato che, in certe occasioni, sono utili delle espressioni di circostanza. “Il piacere è mio.” in questo caso, gli sembrò la risposta più appropriata.
Beh, comunque era possibile che la signorina Dax avesse avuto a che fare coi vulcaniani, prima di adesso. Il fatto che non gli avesse porto la mano poteva essere un’accortezza volontaria oppure un’usanza della sua gente, ma, qualunque cose fosse, era un punto a suo favore. Che i vulcaniani non amassero avere contatti fisici con altre persone era cosa risaputa, soprattutto se ad essere coinvolte erano le mani, e probabilmente il giovane Comandante era uno di quelli più propensi all’astensione.
Anche la sua eccessiva riservatezza doveva essere stata una conseguenza della ferrea educazione vulcan a cui suo padre aveva sottoposto lui e Sorak fin dalla tenera infanzia. Per T’maekh ridurre i contatti al minimo, rinchiudersi in sé stessi, voleva dire evitare di farsi coinvolgere in maniera irreparabile. Poteva essere naturale per un purosangue, il distacco da tutto ciò che non fosse essenza di Logica, ma quanto era stato difficile per un sanguemisto sopprimere il fermento dell’altra metà indesiderata, quella passionale e guerrafondaia… Quella che aveva più che una vaga idea di cosa significasse la sofferenza. Ma ai suoi piccoli avrebbe risparmiato tutto questo. Rabbia, delusione, angoscia e perfino l’amore. Prima avrebbero imparato a purgarsi dai sentimenti e meglio sarebbe stato per entrambi. Per il loro bene, i gemelli non avevano bisogno di essere condannati in eterno a passioni e desideri, non dovevano esserlo. Certo, le ombre del passato non avrebbero reso le cose semplici per loro in una società diffidente, dove per l’errore non c’era mai stato posto, ma i suoi erano due bambini modello. Se per loro era stato difficile non avevano mai dato a vederlo. Avevano sopportato in silenzio, senza fiatare. Forse averla affrontata in due era stata una fortuna, in un certo senso. Solo che se Sorak era sempre stato quello più deciso ed imperturbabile, Salkhar aveva avuto bisogno anche di ricorrere ad un paio di guanti di stoffa bianca, in più di un'occasione, per schermarsi dal resto del mondo.
Alla fine, solo Sorak era rimasto. Lui, invece, aveva deciso di partire.
“Botanica.” Fece eco alla giovane Trill che, ancora una volta, pareva aver toccato un argomento di grande interesse per il vulcaniano. O almeno questo doveva sembrare all’apparenza quando sollevò il mento quel tanto che bastava perché assumesse un’aria di assoluta e genuina compiacenza. La passione per il volo, invece, sembrava non averlo colpito particolarmente.
“Una branca estremamente affascinante della biologia.” Da come ne parlava, suonava quasi come una sorta di complimento decisamente implicito. Perché era vero che il sanguemisto nella vita era un astrofisico, ma era pure da tenere in conto che i suoi genitori gli avessero programmato un futuro brillante all’Accademia delle Scienze di Vulcano. Essere attratto da tutto lo scibile umano era, per il giovane vulcan, del tutto naturale come potevano esserlo una dormita o una seduta di meditazione pomeridiana. C’era da aggiungere a questo che non era neppure mai stato sul pianeta Trill e ne ignorava la maggior parte degli aspetti naturalistici. Dal canto suo, gli era andata proprio di lusso ad imbattersi nella signorina Dax a poche ore dall’imbarco. Un regalo d’addio dalla Terra come portafortuna per l’imminente partenza.
“Se avesse qualche minuto da concedermi, gradirei poter conoscere che genere di flor…” Cominciò, ma l’intromissione di una voce femminile lo interruppe nel mezzo. Il tono gli era familiare e quando poté associare quel suono ad un’immagine che conosceva perfettamente, non vi fu più alcun dubbio.
“Signorina Heparel.” La maschera di imperturbabilità che restava dipinta sul volto non tradiva alcun segno di stupore, come se si aspettasse di vederla sbucare fuori da un momento all’altro.
“Devo ammettere che la Sua improvvisa apparizione mi ha preso alla sprovvista.” Le parole parevano nettamente in contrasto col suo stato d’animo, ma in realtà era piacevolmente sorpreso di vederla. Da quando la conosceva, aveva sempre nutrito profonda stima per l’ex cadetto, sia come professionista che come persona ed ora gli si presentava l’occasione di salutarla con la decenza che meritava, prima di lasciare la Stazione alla volta della galassia. Gli era giunta voce che anche la betazoide fosse stata assegnata ad una Nave Stellare e la sua presenza a Deep Space One ne era la conferma.
“Ho saputo che prenderà presto servizio su un’astronave della Federazione.” Appariva evidente che il vulcan non fosse un grande amante dei preamboli. “Ne deduco che non sia qui per una visita di piacere.” Constatò, poi il suo sguardo scivolò nuovamente sulla figura della Trill.
"Posso permettermi di presentarLe la dottoressa Tan-Kantlya Heparel, signora Dax?" Sollevò ambo le sopracciglia e la punta del naso in una movenza che invitava la giovane esperta di botanica a voltarsi in favore della nuova arrivata. "La dottoressa è una specialista nel campo dell'etnologia, nonché una mia vecchia conoscenza." Parlò per la betazoide che sola poteva sapere quanto quel vulcaniano all'apparenza tanto schizzinoso riuscisse ad essere, alle volte, terribilmente logorroico.
“Salkar.” Si presentò a sua volta, propinandole una versione quanto meno vulcaniana possibile del suo nome ed evitò deliberatamente di aggiungere il resto, dal momento che a lei sarebbe sembrato impossibile da pronunciare. Sempre che non avesse una certa dimestichezza con la lingua di Vulcano. Facendo un rapido calcolo, una simile eventualità era piuttosto improbabile o, almeno fino ad allora, sulla Terra non aveva avuto il piacere di incontrare troppi xenolinguisti che non fossero molto più interessati ai dialetti di Klingon o di Romulus. Però, ad avere a che fare coi terrestri, anche la giovane aliena doveva aver imparato che, in certe occasioni, sono utili delle espressioni di circostanza. “Il piacere è mio.” in questo caso, gli sembrò la risposta più appropriata.
Beh, comunque era possibile che la signorina Dax avesse avuto a che fare coi vulcaniani, prima di adesso. Il fatto che non gli avesse porto la mano poteva essere un’accortezza volontaria oppure un’usanza della sua gente, ma, qualunque cose fosse, era un punto a suo favore. Che i vulcaniani non amassero avere contatti fisici con altre persone era cosa risaputa, soprattutto se ad essere coinvolte erano le mani, e probabilmente il giovane Comandante era uno di quelli più propensi all’astensione.
Anche la sua eccessiva riservatezza doveva essere stata una conseguenza della ferrea educazione vulcan a cui suo padre aveva sottoposto lui e Sorak fin dalla tenera infanzia. Per T’maekh ridurre i contatti al minimo, rinchiudersi in sé stessi, voleva dire evitare di farsi coinvolgere in maniera irreparabile. Poteva essere naturale per un purosangue, il distacco da tutto ciò che non fosse essenza di Logica, ma quanto era stato difficile per un sanguemisto sopprimere il fermento dell’altra metà indesiderata, quella passionale e guerrafondaia… Quella che aveva più che una vaga idea di cosa significasse la sofferenza. Ma ai suoi piccoli avrebbe risparmiato tutto questo. Rabbia, delusione, angoscia e perfino l’amore. Prima avrebbero imparato a purgarsi dai sentimenti e meglio sarebbe stato per entrambi. Per il loro bene, i gemelli non avevano bisogno di essere condannati in eterno a passioni e desideri, non dovevano esserlo. Certo, le ombre del passato non avrebbero reso le cose semplici per loro in una società diffidente, dove per l’errore non c’era mai stato posto, ma i suoi erano due bambini modello. Se per loro era stato difficile non avevano mai dato a vederlo. Avevano sopportato in silenzio, senza fiatare. Forse averla affrontata in due era stata una fortuna, in un certo senso. Solo che se Sorak era sempre stato quello più deciso ed imperturbabile, Salkhar aveva avuto bisogno anche di ricorrere ad un paio di guanti di stoffa bianca, in più di un'occasione, per schermarsi dal resto del mondo.
Alla fine, solo Sorak era rimasto. Lui, invece, aveva deciso di partire.
“Botanica.” Fece eco alla giovane Trill che, ancora una volta, pareva aver toccato un argomento di grande interesse per il vulcaniano. O almeno questo doveva sembrare all’apparenza quando sollevò il mento quel tanto che bastava perché assumesse un’aria di assoluta e genuina compiacenza. La passione per il volo, invece, sembrava non averlo colpito particolarmente.
“Una branca estremamente affascinante della biologia.” Da come ne parlava, suonava quasi come una sorta di complimento decisamente implicito. Perché era vero che il sanguemisto nella vita era un astrofisico, ma era pure da tenere in conto che i suoi genitori gli avessero programmato un futuro brillante all’Accademia delle Scienze di Vulcano. Essere attratto da tutto lo scibile umano era, per il giovane vulcan, del tutto naturale come potevano esserlo una dormita o una seduta di meditazione pomeridiana. C’era da aggiungere a questo che non era neppure mai stato sul pianeta Trill e ne ignorava la maggior parte degli aspetti naturalistici. Dal canto suo, gli era andata proprio di lusso ad imbattersi nella signorina Dax a poche ore dall’imbarco. Un regalo d’addio dalla Terra come portafortuna per l’imminente partenza.
“Se avesse qualche minuto da concedermi, gradirei poter conoscere che genere di flor…” Cominciò, ma l’intromissione di una voce femminile lo interruppe nel mezzo. Il tono gli era familiare e quando poté associare quel suono ad un’immagine che conosceva perfettamente, non vi fu più alcun dubbio.
“Signorina Heparel.” La maschera di imperturbabilità che restava dipinta sul volto non tradiva alcun segno di stupore, come se si aspettasse di vederla sbucare fuori da un momento all’altro.
“Devo ammettere che la Sua improvvisa apparizione mi ha preso alla sprovvista.” Le parole parevano nettamente in contrasto col suo stato d’animo, ma in realtà era piacevolmente sorpreso di vederla. Da quando la conosceva, aveva sempre nutrito profonda stima per l’ex cadetto, sia come professionista che come persona ed ora gli si presentava l’occasione di salutarla con la decenza che meritava, prima di lasciare la Stazione alla volta della galassia. Gli era giunta voce che anche la betazoide fosse stata assegnata ad una Nave Stellare e la sua presenza a Deep Space One ne era la conferma.
“Ho saputo che prenderà presto servizio su un’astronave della Federazione.” Appariva evidente che il vulcan non fosse un grande amante dei preamboli. “Ne deduco che non sia qui per una visita di piacere.” Constatò, poi il suo sguardo scivolò nuovamente sulla figura della Trill.
"Posso permettermi di presentarLe la dottoressa Tan-Kantlya Heparel, signora Dax?" Sollevò ambo le sopracciglia e la punta del naso in una movenza che invitava la giovane esperta di botanica a voltarsi in favore della nuova arrivata. "La dottoressa è una specialista nel campo dell'etnologia, nonché una mia vecchia conoscenza." Parlò per la betazoide che sola poteva sapere quanto quel vulcaniano all'apparenza tanto schizzinoso riuscisse ad essere, alle volte, terribilmente logorroico.