02-05-2012, 02:46 AM
Salkhar
Vulcan/Romulan
C’avrebbe messo la mano sul fuoco che ciò che leggeva negli occhi della giovane Trill fosse gioia. Gioia nell’aver trovato qualcuno che condividesse la sua stessa passione, molto probabilmente. Non era mai stato semplice per un vulcaniano distinguere gli stati d’animo delle razze emotive, incomprensibili erano ai suoi occhi gli sbalzi d’umore improvvisi, eppure era certo di poterlo affermare con sicurezza. Al giovane Comandante la felicità appariva come l’emozione con le sintomatiche più semplici da identificare, per la loro evidenza. Quando gli umanoidi – quelli che aveva avuto modo di frequentare all’Accademia - provavano gioia erano soliti sorridere, alle volte in maniera labile, mentre alle altre non badavano a spese. Non era neppure raro vederne alcuni urlare, abbracciare il compagno, specie se quello di banco, saltare letteralmente dopo aver ricevuto una bella notizia o, semplicemente, per aver attenuto un buon voto ad un esame. C’era anche chi sorrideva senza un’apparente ragione plausibile, talvolta. E quelli rappresentavano, per lui, il mistero più enigmatico e tuttora irrisolto, qualcosa che schizzava fuori da ogni schema logico. La conseguenza senza derivazione di causa, se questa non era almeno maledettamente banale. Gli era sempre sembrato che gli umani vendessero un sorriso davvero per poco o niente.
Eppure al vulcaniano le emozioni non erano sempre state del tutto estranee. Quanti esempi eclatanti ne insignivano la storia della sua famiglia e non era forse sangue di una razza rifiutata da Surak millenni addietro quello che scorreva nelle vene sue e in quelle di suo fratello? Da bambino aveva conosciuto rifiuto e disprezzo, ma quanto può essere forte l’odio sragionato di un moccioso con appena un misero accenno di personalità? No, Salkhar non era estraneo ai sentimenti, ma ne aveva avuto giusto un assaggio, li aveva allontanati come voleva suo padre e poi li aveva dimenticati ed ora era già troppo tardi per tornare indietro e permettergli di riaffiorare. Anzi, non si trattava neppure più di questo, di controllare. Era semplicemente diventato incapace di sentire. Com’era pure incapace di comprendere cosa fosse quella strana sensazione che gli cresceva dentro, sempre più veemente, ogni volta che aveva a che fare con un romulano.
Non osò interrompere lo scambio di battute tra le due perite, tanto fomentate ad idolatrarne le doti, ma avrebbe peccato di modestia se avesse negato di esserne rimasto indifferente. Non ebbe bisogno di esprimere a parole il suo compiacimento, perché il gesto di passarsi la mancina tra i capelli scomposti e la postura fiera che assunse parlavano da sé e l’etnologa avrebbe, forse, ricollegato quell’atteggiamento ai molti precedenti trascorsi ai tempi dell’Accademia, quand’erano nient’altro che due cadetti inesperti. Si decise a rompere il silenzio solo quando la Trill lo chiamò in causa e si dondolò appena sulle punte dei piedi, in preda a quello che poteva apparire come un involontario raptus di apprezzamento. “Davvero interessante, dottoressa Dax.” Annuì con qualche cenno del capo nel rivolgersi a lei con un appellativo certamente molto più consono alla sua posizione sociale. “Non è mai stato stabilito che vi fosse uno strumento più o meno adatto per cominciare ad avvicinarsi alla musica, Signora, dal momento che ognuno ha una propria difficoltà, legata prevalentemente ad abilità tecniche basilari di cui ogni musicista dovrebbe essere dotato.” La formale compostezza del vulcaniano dava quasi l’impressione di stare assistendo alla noiosa lezione di un docente di storia particolarmente preso dalla propria spiegazione. Ma, d’altronde, il giovane Comandante non era mai stato tipo da poche parole spicciole. “Sarebbe prima appropriato conoscere e sviluppare caratteristiche come orecchio, indispensabile per distinguere le chiavi, e senso del ritmo tramite delle assidue esercitazioni di solfeggio.” Conclusa la parte tecnica, incrociò le braccia al petto, assumendo una postura meno impettita, prima di proseguire. “Personalmente, non ho mai avuto modo di apprezzare il pianoforte Trill, ma presumo abbia delle proprietà simili a quelle dell’omonimo terrestre, per cui…” sollevò ambo le sopracciglia a questo punto “… se davvero Le interessa e possiede una buona dose di pazienza e di assiduità, sono convinto che sia l’ideale per cominciare.” Le consigliò, così come la Logica gli suggeriva fosse più appropriato. Se avesse, invece, parlato per preferenza, avrebbe di sicuro optato per la chitarra elettrica, ma non sarebbe certamente stata una scelta saggia, o almeno non per una principiante. Una principiante che, a detta della Heparel, poteva essere anch’ella in procinto di partire, il che non sarebbe stato strano vista la sua presenza alla Stazione Spaziale. Piuttosto lo aveva preso in contropiede la rivelazione dell’ex-cadetto e, sebbene fosse rimasto impassibile, i brevi attimi di silenzio che precedettero la sua risposta furono un chiaro segnale del suo sconcerto. “Una coincidenza davvero inattesa, dottoressa Heparel.” Ammise con l’usuale inflessibilità. “Anch’io, come Lei, presterò servizio sulla U.S.S. Eternity. Sarà interessante lavorare al Suo fianco.” Non si premurò di nasconderle, alla luce delle gradevoli esperienze trascorse in passato. Non si poteva definire una profonda amicizia, la loro, quanto più una convivenza stimolante, soprattutto dal punto di vista culturale. Era merito della giovane etnologa se i betazoidi avevano più che qualche segreto in meno, per lui, come pure doveva ringraziarla di avergli trasmesso la sua vasta conoscenza musicale.
Eppure al vulcaniano le emozioni non erano sempre state del tutto estranee. Quanti esempi eclatanti ne insignivano la storia della sua famiglia e non era forse sangue di una razza rifiutata da Surak millenni addietro quello che scorreva nelle vene sue e in quelle di suo fratello? Da bambino aveva conosciuto rifiuto e disprezzo, ma quanto può essere forte l’odio sragionato di un moccioso con appena un misero accenno di personalità? No, Salkhar non era estraneo ai sentimenti, ma ne aveva avuto giusto un assaggio, li aveva allontanati come voleva suo padre e poi li aveva dimenticati ed ora era già troppo tardi per tornare indietro e permettergli di riaffiorare. Anzi, non si trattava neppure più di questo, di controllare. Era semplicemente diventato incapace di sentire. Com’era pure incapace di comprendere cosa fosse quella strana sensazione che gli cresceva dentro, sempre più veemente, ogni volta che aveva a che fare con un romulano.
Non osò interrompere lo scambio di battute tra le due perite, tanto fomentate ad idolatrarne le doti, ma avrebbe peccato di modestia se avesse negato di esserne rimasto indifferente. Non ebbe bisogno di esprimere a parole il suo compiacimento, perché il gesto di passarsi la mancina tra i capelli scomposti e la postura fiera che assunse parlavano da sé e l’etnologa avrebbe, forse, ricollegato quell’atteggiamento ai molti precedenti trascorsi ai tempi dell’Accademia, quand’erano nient’altro che due cadetti inesperti. Si decise a rompere il silenzio solo quando la Trill lo chiamò in causa e si dondolò appena sulle punte dei piedi, in preda a quello che poteva apparire come un involontario raptus di apprezzamento. “Davvero interessante, dottoressa Dax.” Annuì con qualche cenno del capo nel rivolgersi a lei con un appellativo certamente molto più consono alla sua posizione sociale. “Non è mai stato stabilito che vi fosse uno strumento più o meno adatto per cominciare ad avvicinarsi alla musica, Signora, dal momento che ognuno ha una propria difficoltà, legata prevalentemente ad abilità tecniche basilari di cui ogni musicista dovrebbe essere dotato.” La formale compostezza del vulcaniano dava quasi l’impressione di stare assistendo alla noiosa lezione di un docente di storia particolarmente preso dalla propria spiegazione. Ma, d’altronde, il giovane Comandante non era mai stato tipo da poche parole spicciole. “Sarebbe prima appropriato conoscere e sviluppare caratteristiche come orecchio, indispensabile per distinguere le chiavi, e senso del ritmo tramite delle assidue esercitazioni di solfeggio.” Conclusa la parte tecnica, incrociò le braccia al petto, assumendo una postura meno impettita, prima di proseguire. “Personalmente, non ho mai avuto modo di apprezzare il pianoforte Trill, ma presumo abbia delle proprietà simili a quelle dell’omonimo terrestre, per cui…” sollevò ambo le sopracciglia a questo punto “… se davvero Le interessa e possiede una buona dose di pazienza e di assiduità, sono convinto che sia l’ideale per cominciare.” Le consigliò, così come la Logica gli suggeriva fosse più appropriato. Se avesse, invece, parlato per preferenza, avrebbe di sicuro optato per la chitarra elettrica, ma non sarebbe certamente stata una scelta saggia, o almeno non per una principiante. Una principiante che, a detta della Heparel, poteva essere anch’ella in procinto di partire, il che non sarebbe stato strano vista la sua presenza alla Stazione Spaziale. Piuttosto lo aveva preso in contropiede la rivelazione dell’ex-cadetto e, sebbene fosse rimasto impassibile, i brevi attimi di silenzio che precedettero la sua risposta furono un chiaro segnale del suo sconcerto. “Una coincidenza davvero inattesa, dottoressa Heparel.” Ammise con l’usuale inflessibilità. “Anch’io, come Lei, presterò servizio sulla U.S.S. Eternity. Sarà interessante lavorare al Suo fianco.” Non si premurò di nasconderle, alla luce delle gradevoli esperienze trascorse in passato. Non si poteva definire una profonda amicizia, la loro, quanto più una convivenza stimolante, soprattutto dal punto di vista culturale. Era merito della giovane etnologa se i betazoidi avevano più che qualche segreto in meno, per lui, come pure doveva ringraziarla di avergli trasmesso la sua vasta conoscenza musicale.