28-05-2012, 10:33 PM
Salkhar
Vulcan/Romulan
Ponte 2: Palestra
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Era già trascorso diverso tempo da quando il giovane Ufficiale Scientifico della U.S.S. Eternity aveva cominciato a sgambettare sul nastro di uno dei tapirulan disponibili nella sala degli allenamenti, quella allocata in una delle sezioni di ristoro del Ponte 2. Non aveva particolarmente gradito, il mezosangue, il fatto di essere stato congedato così presto dalla sua mansione di osservatore in Plancia di Comando, dopo quelle che, a parer suo, erano state solo poche ore di servizio, e già a poca distanza dall’imbarco aveva seriamente rischiato di compromettere la sua posizione agli occhi del Capitano. Era ovviamente al corrente che ci fossero turni da rispettare, e con rigore professionale, ma aveva comunque creduto che valesse la pena rischiare di prendersi una bella nota di demerito per aperta contestazione già al primo giorno di servizio, piuttosto che tacere. Quella di protestare una decisione ogni volta che lo ritenesse razionalmente opportuno era un’abitudine che si portava dietro da tutta una vita, anche se, alla fine, sotto ordine insistente, era si era sempre visto costretto a fare un passo indietro. Non che si fosse trattato del capriccio di un adolescente determinato all’idea di voler fare colpo a tutti i costi sui suoi superiori. La richiesta di potersene restare al suo posto era stata solo frutto di una semplice constatazione logica che, evidentemente, i piani alti non avevano ritenuto necessario di tenere in considerazione: perché essere sostituito, pur non avendo alcun bisogno di riposare e pur potendo restare ancora a lungo in perfetta efficienza? In risposta, quella che aveva ricevuto era stata una gentile quanto categorica pacca sulla spalla, che aveva interpretato col significato alternativo di togliersi dalle scatole. Eppure, ancora adesso, continuava a persistere nella sua convinzione. Dèi dell’Olimpo, solo dall’alto dei cieli potevano sapere quanto il vulcaniano potesse diventare ostinato, ogni volta che credesse di avere la ragione dalla propria! Non gli sarebbero bastate altre due ore di corsa sul tappeto a convincerlo che, ormai, era inutile continuare ad insistere nel rimuginarci sopra, dal momento che la decisione era stata presa e lui non poteva farci proprio più niente. Dovette, forse, convincersene nel momento in cui premette il pulsante di spegnimento dell’attrezzo, che rallentò con un mesto fruscio, prima di arrestarsi del tutto. Ma non poté, comunque, sentirlo. La musica che teneva sparata al massimo volume negli auricolari gli impediva di percepire altri suoni che non fossero le note pesanti della chitarra elettrica, ritmate da un costante battere di piatti e tamburi in sottofondo. Per essere un pacifico vulcaniano, votato esclusivamente al beneficio della Logica, sembrava quasi uno scherzo di cattivo gusto che potesse essere tanto affascinato dalla musica rock. In particolare, era il genere metal che prediligeva ed era proprio una vecchia canzone composta in quello stile che era intento ad ascoltare.
“Oh, I don’t think you trust in my self-righteous suicide…” Rimbombavano quelle parole nella testa, mentre scendeva dal tapirulan e si passava la mano tra i capelli, corvini ed indomati, in un inutile tentativo di portarli all’indietro. “I cry when angels deserve to die…” Si tirò su la lampo della felpa azzura, semplice, che riportava all’altezza del petto, sulla sinistra, il simbolo della Flotta Stellare, quello destinato alla Sezione Scientifica, poi prese una lunga sorsata d’acqua dalla bottiglietta che s’era portato dietro dal suo alloggio. Di asciugamani non ne ebbe bisogno. Era caratteristica del suo retaggio etnico che il calore corporeo non si disperdesse col sudore, ma tramite la traspirazione della pelle e, a dirla realmente tutta, per le temperature a cui era abituato sul suo pianeta natale, lì sull’Eternity faceva pure fin troppo fresco, per i suoi gusti.
“Father! Mother! Father! Brother! Fucking father!” Le urla gli perforavano quasi i timpani, eppure dall’espressione, neutra ed indecifrabile, non sembrava neppure gli stesse prestando particolare attenzione. In effetti, non si era mai sforzato troppo a cercare di comprendere il bisogno di manifestare emotività di certi testi. Non ne capiva il senso e, volendo essere sinceri, se gli autori non fossero appartenuti alla razza umana, avrebbe ritenuto addirittura sdegnoso da parte loro dimostrarsi così apertamente sentimentali. Chissà quand’è che aveva cominciato a pensarla esattamente come T’maekh e a convincersene pure in maniera irrimediabile. Forse era stato troppo dipendente da Sorak, perché lui era sempre stato quello più integerrimo dei due, al contrario suo, che s’era sempre dimostrato l’anello debole. Talmente debole da avere un assoluto quanto inconscio bisogno di quella stupida musica per reprimere tutti i desideri repressi.
Si sfilò le cuffie dai condotti uditivi, mentre si dirigeva verso l’uscita. L’idea era quella di mangiare qualcosa e poi tornarsene in camera dove, in tutta probabilità, si sarebbe soffermato a meditare almeno per un po’. Ma tentennò sull’uscio quando il sensibile orecchio catturò mesti rumori in lontananza, che somigliavano a colpi secchi sferrati nell’aria. Un sopracciglio si sollevò nel realizzare solo in quel momento di non essere stato solo per tutto quel tempo, mentre la sua eccessiva e talvolta problematica curiosità lo spingeva ad indietreggiare in quella direzione e ad affacciarsi all'entrata della sala adiacente. Non si sorprese minimamente di trovarsi a pochi metri di distanza il Timoniere dell'Eternity, che aveva modo di incrociare in Plancia quella stessa mattina. Quello che più lo lasciava perplesso era, invece, che lei fosse vulcaniana. Proprio come lui. E di vulcaniani – quelli che erano rimasti – all’Accademia della Flotta Stellare, di quei tempi, non se ne vedevano poi molti.
“Guardimarina…” Attirò la sua attenzione, senza troppi preamboli. Non poteva sbagliarsi, era sicuro che il Capitano si fosse rivolto a lei con quell’appellativo, nell’arco della giornata. “Vedo che anche Lei ha pensato bene di tenersi in esercizio.” La sua fu niente più che una constatazione dovuta ad un dato di fatto. E, se era vulcaniana almeno la metà di quanto dava a vedere, molto probabilmente era lì per le sue stesse ragioni: meglio tenersi impegnati in qualcosa di costruttivo, piuttosto che stare fermi a far nulla.
"Un comportamento davvero encomiabile, il Suo."
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Era già trascorso diverso tempo da quando il giovane Ufficiale Scientifico della U.S.S. Eternity aveva cominciato a sgambettare sul nastro di uno dei tapirulan disponibili nella sala degli allenamenti, quella allocata in una delle sezioni di ristoro del Ponte 2. Non aveva particolarmente gradito, il mezosangue, il fatto di essere stato congedato così presto dalla sua mansione di osservatore in Plancia di Comando, dopo quelle che, a parer suo, erano state solo poche ore di servizio, e già a poca distanza dall’imbarco aveva seriamente rischiato di compromettere la sua posizione agli occhi del Capitano. Era ovviamente al corrente che ci fossero turni da rispettare, e con rigore professionale, ma aveva comunque creduto che valesse la pena rischiare di prendersi una bella nota di demerito per aperta contestazione già al primo giorno di servizio, piuttosto che tacere. Quella di protestare una decisione ogni volta che lo ritenesse razionalmente opportuno era un’abitudine che si portava dietro da tutta una vita, anche se, alla fine, sotto ordine insistente, era si era sempre visto costretto a fare un passo indietro. Non che si fosse trattato del capriccio di un adolescente determinato all’idea di voler fare colpo a tutti i costi sui suoi superiori. La richiesta di potersene restare al suo posto era stata solo frutto di una semplice constatazione logica che, evidentemente, i piani alti non avevano ritenuto necessario di tenere in considerazione: perché essere sostituito, pur non avendo alcun bisogno di riposare e pur potendo restare ancora a lungo in perfetta efficienza? In risposta, quella che aveva ricevuto era stata una gentile quanto categorica pacca sulla spalla, che aveva interpretato col significato alternativo di togliersi dalle scatole. Eppure, ancora adesso, continuava a persistere nella sua convinzione. Dèi dell’Olimpo, solo dall’alto dei cieli potevano sapere quanto il vulcaniano potesse diventare ostinato, ogni volta che credesse di avere la ragione dalla propria! Non gli sarebbero bastate altre due ore di corsa sul tappeto a convincerlo che, ormai, era inutile continuare ad insistere nel rimuginarci sopra, dal momento che la decisione era stata presa e lui non poteva farci proprio più niente. Dovette, forse, convincersene nel momento in cui premette il pulsante di spegnimento dell’attrezzo, che rallentò con un mesto fruscio, prima di arrestarsi del tutto. Ma non poté, comunque, sentirlo. La musica che teneva sparata al massimo volume negli auricolari gli impediva di percepire altri suoni che non fossero le note pesanti della chitarra elettrica, ritmate da un costante battere di piatti e tamburi in sottofondo. Per essere un pacifico vulcaniano, votato esclusivamente al beneficio della Logica, sembrava quasi uno scherzo di cattivo gusto che potesse essere tanto affascinato dalla musica rock. In particolare, era il genere metal che prediligeva ed era proprio una vecchia canzone composta in quello stile che era intento ad ascoltare.
“Oh, I don’t think you trust in my self-righteous suicide…” Rimbombavano quelle parole nella testa, mentre scendeva dal tapirulan e si passava la mano tra i capelli, corvini ed indomati, in un inutile tentativo di portarli all’indietro. “I cry when angels deserve to die…” Si tirò su la lampo della felpa azzura, semplice, che riportava all’altezza del petto, sulla sinistra, il simbolo della Flotta Stellare, quello destinato alla Sezione Scientifica, poi prese una lunga sorsata d’acqua dalla bottiglietta che s’era portato dietro dal suo alloggio. Di asciugamani non ne ebbe bisogno. Era caratteristica del suo retaggio etnico che il calore corporeo non si disperdesse col sudore, ma tramite la traspirazione della pelle e, a dirla realmente tutta, per le temperature a cui era abituato sul suo pianeta natale, lì sull’Eternity faceva pure fin troppo fresco, per i suoi gusti.
“Father! Mother! Father! Brother! Fucking father!” Le urla gli perforavano quasi i timpani, eppure dall’espressione, neutra ed indecifrabile, non sembrava neppure gli stesse prestando particolare attenzione. In effetti, non si era mai sforzato troppo a cercare di comprendere il bisogno di manifestare emotività di certi testi. Non ne capiva il senso e, volendo essere sinceri, se gli autori non fossero appartenuti alla razza umana, avrebbe ritenuto addirittura sdegnoso da parte loro dimostrarsi così apertamente sentimentali. Chissà quand’è che aveva cominciato a pensarla esattamente come T’maekh e a convincersene pure in maniera irrimediabile. Forse era stato troppo dipendente da Sorak, perché lui era sempre stato quello più integerrimo dei due, al contrario suo, che s’era sempre dimostrato l’anello debole. Talmente debole da avere un assoluto quanto inconscio bisogno di quella stupida musica per reprimere tutti i desideri repressi.
Si sfilò le cuffie dai condotti uditivi, mentre si dirigeva verso l’uscita. L’idea era quella di mangiare qualcosa e poi tornarsene in camera dove, in tutta probabilità, si sarebbe soffermato a meditare almeno per un po’. Ma tentennò sull’uscio quando il sensibile orecchio catturò mesti rumori in lontananza, che somigliavano a colpi secchi sferrati nell’aria. Un sopracciglio si sollevò nel realizzare solo in quel momento di non essere stato solo per tutto quel tempo, mentre la sua eccessiva e talvolta problematica curiosità lo spingeva ad indietreggiare in quella direzione e ad affacciarsi all'entrata della sala adiacente. Non si sorprese minimamente di trovarsi a pochi metri di distanza il Timoniere dell'Eternity, che aveva modo di incrociare in Plancia quella stessa mattina. Quello che più lo lasciava perplesso era, invece, che lei fosse vulcaniana. Proprio come lui. E di vulcaniani – quelli che erano rimasti – all’Accademia della Flotta Stellare, di quei tempi, non se ne vedevano poi molti.
“Guardimarina…” Attirò la sua attenzione, senza troppi preamboli. Non poteva sbagliarsi, era sicuro che il Capitano si fosse rivolto a lei con quell’appellativo, nell’arco della giornata. “Vedo che anche Lei ha pensato bene di tenersi in esercizio.” La sua fu niente più che una constatazione dovuta ad un dato di fatto. E, se era vulcaniana almeno la metà di quanto dava a vedere, molto probabilmente era lì per le sue stesse ragioni: meglio tenersi impegnati in qualcosa di costruttivo, piuttosto che stare fermi a far nulla.
"Un comportamento davvero encomiabile, il Suo."