29-05-2012, 08:55 PM
Salkhar
Vulcan/Romulan
Neppure per un attimo distolse lo sguardo da quello della giovane donna, che ancora continuava a persistere in un’immota, quasi solenne, staticità formale. Ma la sua era tutta una tattica. Appariva evidente – o almeno questo era quanto gli aveva dato modo di intendere – che non volesse scoprirsi da subito, che volesse prendere del tempo per analizzare la situazione, e proprio non poteva darle torto: aveva bisogno di tastare il terreno per capire fino a quanto le fosse concesso di spingersi oltre. Stava pur sempre rivolgendosi ad un suo superiore, dal quale non poteva sapere di aver già ricevuto un primo tacito assenso. Opinione che il vulcaniano non modificò neppure quando vide apparire su quel viso quasi infantile una curva impercettibile, che per poco non gli era sfuggita. Non era ancora diventato troppo abile nel percepire gli stati emozionali, eppure qualcosa gli suggeriva di avere appena assistito ad un evento che solo in seguito avrebbe determinato come irrazionale. Irrazionale per la natura di colei che si trovava di fronte. Perché aveva sorriso – era un sorriso, quello? Non era, quella, una debolezza umana? Lo trovava insolito, ma, allo stesso tempo, inspiegabilmente confortante. Forse era questo ad averlo maggiormente colpito, nel giovane Timoniere: in un certo senso, erano simili.
Stavolta fu lui a restarsene fermo, mentre lei, invece, accorciava ancora le distanze. La guardava avvicinarsi con movenze sontuose, eleganti, silenziose, che, allo stesso tempo, apparivano ai suoi occhi così inspiegabili, caotiche. Non si rese neppure conto di aver abbassato lo sguardo per perlustrare il restante di lei, nell’interezza, mentre il fiato, per un attimo, gli era addirittura mancato.
“Lei parla di approssimazione, eppure devo confessarLe che mi ha dato un’impressione diversa. Di non essere del tutto sincera.” A non convincerlo era stata la noncuranza che aveva usato nel rivolgere quel sentimentalismo a se stessa. Fin troppa per un vulcaniano che tenti di esprimersi in termini umani. Chiunque altro, al suo posto, avrebbe tenuto a farlo presente e, invece, lei aveva volontariamente omesso di apporre una specifica riguardo ad un piccolo particolare che qualsiasi vulcaniano devoto alla dottrina di Surak avrebbe considerato sdegnoso, se non addirittura ingiurioso. “Mi spinge a credere di essere guidata dalla Logica molto meno di quanto Lei voglia dare a vedere.” Si interruppe per qualche breve istante e, quando sollevò le sopracciglia e chinò leggermente il capo in avanti, sembrò assumere un’aria particolarmente presuntuosa, forse un tantino superba. “Anche perché non mi era mai capitato, prima d’ora, di vedere qualcuno della nostra gente sorridere a quel modo così – mi permetta un artificio retorico – sinistro.” Erano parole calme, meste, le sue, nella quali non si avvertiva alcun segno di ammonimento. Perché lui non era lì per giudicarla, no. Quello che voleva era semplicemente cercare di capire, di capire cos’era che la rendeva così insolitamente diversa.
“Quanto al mio ‘disappunto’, si sbaglia, Guardiamarina.” Proseguì ancora, ma questa volta non se ne restò al suo posto. Avanzò, invece, di molti passi, il mento appena sollevato, arrivando ad affiancarla e proseguendo fino a ritrovarsene alle spalle. “Quello era proprio il concetto che intendevo esprimere.” Si arrestò, a questo punto, sfilandosi poi le mani dalle tasche solo per fare scrocchiare le giunture delle dita in un gesto del tutto informale che, in un certo senso, poteva essere interpretato come un invito nei confronti della giovane a distendersi. D’altronde, quella dove si trovavano non era mica la Plancia di Comando. “Potrà ritenerlo poco logico da parte mia, ma devo ammettere che questi sono i fatti.” La breve pausa che intercorse gli servì per umettarsi il labbro inferiore con le estremità degli incisivi. “Come certamente saprà, il termine ‘disappunto’ è sinonimo di ‘contrarietà’ e non Le nascondo che gli ordini del Capitano mi trovano in disaccordo. Ritengo estremamente deprecabile la decisione di congedare ufficiali perfettamente efficienti nel giro di poche ore per motivazioni esclusivamente logistiche. Ma sono costretto ad attenermi agli ordini.” Il tono piatto con cui si espresse svuotava le parole di ogni connotato emozionale – repressione, frustrazione - e quello che poteva essere un piccolo sfogo assunse, al contrario, i colori di una semplice confidenza. “Ciononostante, la ritengo una misura illogica ed inadeguata.” Commentò a conclusione, tornando poi a voltarsi quando fu della giovane donna il turno di parlare. Restò in silenzio per qualche momento, anche quando lei ebbe terminato il suo ragionamento. E ne fu… sorpreso. Non aveva mai dato motivo a nessuno di sospettare della sua natura ambigua, di quella parte oscura che in lui albergava e che doveva sopprimere ad ogni costo, e, invece, lei… come aveva fatto a capirlo? Dove diavolo era caduto in fallo? Dovette far ricorso a tutta la sua forza di volontà per non dare a vedere che ne fosse rimasto turbato. Perché lui non poteva assolutamente esserlo.
“Un’acuta osservazione, la Sua, Guardiamarina.” Commentò e fu in quel momento che se ne convinse con fermezza: T’Kaat non era come gli altri vulcaniani. Non lo era perché lei aveva saputo vedere qualcosa che i loro consanguinei non avrebbero mai e poi mai colto tra le righe, per il semplice fatto che loro non sapevano cosa volesse dire essere diversi. “Devo confessarLe di non essere interamente vulcaniano. Non è un segreto che mio padre avesse origini romulane…” ma era ovvio che lei non potesse esserne a conoscenza. “Anche se - voglio precisarlo - questo non mi rende particolarmente diverso dai nostri consanguinei.” Forse aveva parlato troppo ed era stato appena più duro, nel dirlo. Così non aveva fatto altro che puntarsi il dito contro da solo e, tuttavia, non aveva potuto farne a meno. Perché ne era davvero convinto e non avrebbe ammesso obiezioni.
“E Lei, invece?” Da come pose la domanda, pareva dare per scontato di trovarsi di fronte ad un altro misto fritto.
Stavolta fu lui a restarsene fermo, mentre lei, invece, accorciava ancora le distanze. La guardava avvicinarsi con movenze sontuose, eleganti, silenziose, che, allo stesso tempo, apparivano ai suoi occhi così inspiegabili, caotiche. Non si rese neppure conto di aver abbassato lo sguardo per perlustrare il restante di lei, nell’interezza, mentre il fiato, per un attimo, gli era addirittura mancato.
“Lei parla di approssimazione, eppure devo confessarLe che mi ha dato un’impressione diversa. Di non essere del tutto sincera.” A non convincerlo era stata la noncuranza che aveva usato nel rivolgere quel sentimentalismo a se stessa. Fin troppa per un vulcaniano che tenti di esprimersi in termini umani. Chiunque altro, al suo posto, avrebbe tenuto a farlo presente e, invece, lei aveva volontariamente omesso di apporre una specifica riguardo ad un piccolo particolare che qualsiasi vulcaniano devoto alla dottrina di Surak avrebbe considerato sdegnoso, se non addirittura ingiurioso. “Mi spinge a credere di essere guidata dalla Logica molto meno di quanto Lei voglia dare a vedere.” Si interruppe per qualche breve istante e, quando sollevò le sopracciglia e chinò leggermente il capo in avanti, sembrò assumere un’aria particolarmente presuntuosa, forse un tantino superba. “Anche perché non mi era mai capitato, prima d’ora, di vedere qualcuno della nostra gente sorridere a quel modo così – mi permetta un artificio retorico – sinistro.” Erano parole calme, meste, le sue, nella quali non si avvertiva alcun segno di ammonimento. Perché lui non era lì per giudicarla, no. Quello che voleva era semplicemente cercare di capire, di capire cos’era che la rendeva così insolitamente diversa.
“Quanto al mio ‘disappunto’, si sbaglia, Guardiamarina.” Proseguì ancora, ma questa volta non se ne restò al suo posto. Avanzò, invece, di molti passi, il mento appena sollevato, arrivando ad affiancarla e proseguendo fino a ritrovarsene alle spalle. “Quello era proprio il concetto che intendevo esprimere.” Si arrestò, a questo punto, sfilandosi poi le mani dalle tasche solo per fare scrocchiare le giunture delle dita in un gesto del tutto informale che, in un certo senso, poteva essere interpretato come un invito nei confronti della giovane a distendersi. D’altronde, quella dove si trovavano non era mica la Plancia di Comando. “Potrà ritenerlo poco logico da parte mia, ma devo ammettere che questi sono i fatti.” La breve pausa che intercorse gli servì per umettarsi il labbro inferiore con le estremità degli incisivi. “Come certamente saprà, il termine ‘disappunto’ è sinonimo di ‘contrarietà’ e non Le nascondo che gli ordini del Capitano mi trovano in disaccordo. Ritengo estremamente deprecabile la decisione di congedare ufficiali perfettamente efficienti nel giro di poche ore per motivazioni esclusivamente logistiche. Ma sono costretto ad attenermi agli ordini.” Il tono piatto con cui si espresse svuotava le parole di ogni connotato emozionale – repressione, frustrazione - e quello che poteva essere un piccolo sfogo assunse, al contrario, i colori di una semplice confidenza. “Ciononostante, la ritengo una misura illogica ed inadeguata.” Commentò a conclusione, tornando poi a voltarsi quando fu della giovane donna il turno di parlare. Restò in silenzio per qualche momento, anche quando lei ebbe terminato il suo ragionamento. E ne fu… sorpreso. Non aveva mai dato motivo a nessuno di sospettare della sua natura ambigua, di quella parte oscura che in lui albergava e che doveva sopprimere ad ogni costo, e, invece, lei… come aveva fatto a capirlo? Dove diavolo era caduto in fallo? Dovette far ricorso a tutta la sua forza di volontà per non dare a vedere che ne fosse rimasto turbato. Perché lui non poteva assolutamente esserlo.
“Un’acuta osservazione, la Sua, Guardiamarina.” Commentò e fu in quel momento che se ne convinse con fermezza: T’Kaat non era come gli altri vulcaniani. Non lo era perché lei aveva saputo vedere qualcosa che i loro consanguinei non avrebbero mai e poi mai colto tra le righe, per il semplice fatto che loro non sapevano cosa volesse dire essere diversi. “Devo confessarLe di non essere interamente vulcaniano. Non è un segreto che mio padre avesse origini romulane…” ma era ovvio che lei non potesse esserne a conoscenza. “Anche se - voglio precisarlo - questo non mi rende particolarmente diverso dai nostri consanguinei.” Forse aveva parlato troppo ed era stato appena più duro, nel dirlo. Così non aveva fatto altro che puntarsi il dito contro da solo e, tuttavia, non aveva potuto farne a meno. Perché ne era davvero convinto e non avrebbe ammesso obiezioni.
“E Lei, invece?” Da come pose la domanda, pareva dare per scontato di trovarsi di fronte ad un altro misto fritto.