25-06-2010, 12:13 PM
Melissa Harris
Human
Sono seduta a un tavolino del bar, e guardo nervosamente il menù. È il mio primo giorno nella stazione spaziale Midway. Ho avuto modo di ambientarmi un poco, questa mattina, quanto bastava per sapere dove si trovano i luoghi di principale importanza, ma non mi sono ancora abituata alla vastità di quel luogo, al caleidoscopio di razze e oggetti che sembra ospitare. E’ tutto così grande, così bello, così vario…mi chiedo, per un istante, se anche quando salirò per la prima volta sull’astronave a cui sono stata assegnata mi sentirò così. Provo un brivido al pensiero. L’astronave alla quale sono stata assegnata. L’Enterprise. È a dir poco un onore poter essere parte del suo equipaggio. Non vedo l’ora che arrivi il momento di imbarcarmi. Ho sentito delle ottime voci sui membri dell’Enterprise, nonostante abbiano tutti all’incirca la mia età o poco più, e diventare una di loro mi sembra un sogno.
Nervosamente, mi sistemo l’uniforme. Mi sento incredibilmente impacciata, vestita così, e spaventosamente rigida nei movimenti. Spero di non essere davvero ridicola come mi sento, perché al momento immagino di non apparire affatto professionale. E io voglio, disperatamente, fare una buona impressione, prima che qualcuno si renda conto di aver fatto un errore assegnando una ragazza così giovane e soprattutto così inesperta e impacciata all’Enterprise. Ero fra le migliori del mio corso, all’Accademia, o così mi era stato detto, ma non era assolutamente una garanzia. Basta un gesto, una parola sbagliata, e mi ritroverò di nuovo sulla Terra, sotto il caldo soffocante dell’Oklahoma. Lo sento.
Un cameriere dall’aspetto gentile mi si avvicina, e a voce bassa ordino una bevanda un tè. Pochi secondi dopo torna, e prendendo il bicchiere che mi porge lo ringrazio con un sorriso tirato. Sono inequivocabilmente troppo nervosa, ho bisogno di rilassarmi. Quel povero cameriere deve aver pensato che ce l’avessi con lui, o qualcosa di simile, ma in verità ho davvero tanta, tanta paura di rovinare tutto.
Mi guardo intorno, cercando di scorgere qualche viso familiare, ma non trovo nessuno. Mi agito un po’, chiedendomi cosa devo fare adesso, dove devo andare, e prego silenziosamente che arrivi qualcuno a darmi qualche dritta.
Nervosamente, mi sistemo l’uniforme. Mi sento incredibilmente impacciata, vestita così, e spaventosamente rigida nei movimenti. Spero di non essere davvero ridicola come mi sento, perché al momento immagino di non apparire affatto professionale. E io voglio, disperatamente, fare una buona impressione, prima che qualcuno si renda conto di aver fatto un errore assegnando una ragazza così giovane e soprattutto così inesperta e impacciata all’Enterprise. Ero fra le migliori del mio corso, all’Accademia, o così mi era stato detto, ma non era assolutamente una garanzia. Basta un gesto, una parola sbagliata, e mi ritroverò di nuovo sulla Terra, sotto il caldo soffocante dell’Oklahoma. Lo sento.
Un cameriere dall’aspetto gentile mi si avvicina, e a voce bassa ordino una bevanda un tè. Pochi secondi dopo torna, e prendendo il bicchiere che mi porge lo ringrazio con un sorriso tirato. Sono inequivocabilmente troppo nervosa, ho bisogno di rilassarmi. Quel povero cameriere deve aver pensato che ce l’avessi con lui, o qualcosa di simile, ma in verità ho davvero tanta, tanta paura di rovinare tutto.
Mi guardo intorno, cercando di scorgere qualche viso familiare, ma non trovo nessuno. Mi agito un po’, chiedendomi cosa devo fare adesso, dove devo andare, e prego silenziosamente che arrivi qualcuno a darmi qualche dritta.