29-02-2024, 08:46 PM
It's nice to have a family.
Carol Marcus Umana
Quella giornata, con il suo ritmo apparentemente tranquillo e la routine di bordo dell'Enterprise, aveva offerto un contrasto stridente con il tumulto che infervorava il mio interno: mentre l'ambasciatore caitiano si preparava a disinnescare una disputa secolare tra gli elkariani, io mi trovavo ad affrontare una mia personale tempesta emotiva, scaturita dalla recente scoperta della mia gravidanza e dalla decisione di condividerla con James.
Avevo scelto il giardino botanico per il nostro incontro, un luogo che offriva una pausa dalla sterilità tecnologica dell'astronave, un rifugio di verde e tranquillità dove speravo di trovare il coraggio necessario per affrontare il capitano Kirk con la notizia che avrebbe cambiato le nostre vite. L'idea di parlargli in un ambiente così sereno e lontano dai corridoi metallici dell'Enterprise mi aveva sembrato appropriata, un modo per ammorbidire l'impatto delle mie parole.
La decisione di attendere Jim nel giardino non era stata presa alla leggera. Ogni pianta, ogni albero, era un testimone silenzioso della mia lotta interiore, del mio desiderio di trovare la giusta armonia tra il dovere professionale e le esigenze personali; mentre camminavo tra i sentieri, il fragore delle mie emozioni contrastava con la calma del luogo, e l'immagine della superficie rossastra di Elkar IV, visibile dagli oblò, mi ricordava quanto fossero distanti eppure simili le sfide che stavamo affrontando: l'ambasciatore con la sua missione diplomatica, e io avevo una mia rivelazione personale da fare.
Quando infine vidi Jim avvicinarsi, il mio cuore iniziò a battere con forza. La sua figura, così familiare eppure in quel momento così carica di significato, mi fece capire che stavo per attraversare un punto di non ritorno. «Jim.» lo chiamai, cercando di nascondere l'agitazione nella mia voce, mentre mi avvicinavo a lui con passo deciso.
Avevo scelto il giardino botanico per il nostro incontro, un luogo che offriva una pausa dalla sterilità tecnologica dell'astronave, un rifugio di verde e tranquillità dove speravo di trovare il coraggio necessario per affrontare il capitano Kirk con la notizia che avrebbe cambiato le nostre vite. L'idea di parlargli in un ambiente così sereno e lontano dai corridoi metallici dell'Enterprise mi aveva sembrato appropriata, un modo per ammorbidire l'impatto delle mie parole.
La decisione di attendere Jim nel giardino non era stata presa alla leggera. Ogni pianta, ogni albero, era un testimone silenzioso della mia lotta interiore, del mio desiderio di trovare la giusta armonia tra il dovere professionale e le esigenze personali; mentre camminavo tra i sentieri, il fragore delle mie emozioni contrastava con la calma del luogo, e l'immagine della superficie rossastra di Elkar IV, visibile dagli oblò, mi ricordava quanto fossero distanti eppure simili le sfide che stavamo affrontando: l'ambasciatore con la sua missione diplomatica, e io avevo una mia rivelazione personale da fare.
Quando infine vidi Jim avvicinarsi, il mio cuore iniziò a battere con forza. La sua figura, così familiare eppure in quel momento così carica di significato, mi fece capire che stavo per attraversare un punto di non ritorno. «Jim.» lo chiamai, cercando di nascondere l'agitazione nella mia voce, mentre mi avvicinavo a lui con passo deciso.