Lasciare Tellar e la sua casa non era stata una scelta semplice, ma Rekon era ben conscio che si trattava della sola scelta possibile.
Sorrise mostrando per un istante al riflesso sul vetro della grossa pendola su cui stava lavorando le lucide zanne, mentre con la mente tornava alle reazioni stupite dei colleghi e sottoposti dell'Hangar 3 quando aveva annunciato di aver ottenuto il trasferimento ed il reintegro nel servizio attivo su di una Nave Stellare.
La maggior parte dei Tellariti della sua età - quantomeno quelli con tutte le rotelle a posto sotto uno strato di pelliccia che ormai tendeva al canuto come la sua - miravano a posti comodi come il suo, se non direttamente alla pensione, ma per Rekon era diverso. Il periodo ai cantieri orbitali di Tellar, così come l'anno di aggiornamento e formazione che lo avevano preceduto, era stato un passo necessario per superare il trauma della perdita di Akara, Iska e del piccolo Rook, ma adesso non ce la faceva più a stare in quel luogo.
La sua casa era stata sì la casa che i suoi genitori avevano comprato con tanti sacrifici ma che per lui era, soprattutto, il luogo dove avrebbe voluto trascorrere una serena vecchiaia accanto alla moglie e circondato da nipotini urlanti da affascinare con i racconti delle sue avventure passate a bordo dei gloriosi vascelli della Flotta. E quindi, ora che quel futuro non esisteva più, la casa era diventato una specie di monumento al ricordo di ciò che avrebbe dovuto essere. Un luogo che era necessario conservare e visitare di tanto in tanto, ma che era troppo soffocante per viverci.
Sbuffò, mentre le tozze dita stringevano un cacciavite all'apparenza troppo piccolo per poter essere maneggiato e lo insinuavano sotto un minuscolo ingranaggio, sollevandolo a sufficienza da poterlo afferrare con una pinzetta che un chirurgo avrebbe gestito con difficoltà.
Chissà perché diavolo i Boliani fanno orologi così enormi con ingranaggi così minuscoli... borbottò, i pensieri che tornavano a vagare mentre il minuscolo ingranaggio danneggiato veniva riposto in un angolo del tavolo da lavoro, mentre la mano precedentemente armata di cacciavite iniziava a frugare in una scatolina in cerca di un ricambio. La sua casa era una prigione, dalla quale scappava quanto più gli era possibile, spesso dormendo in uno degli alloggi delle vecchie navi che arrivavano all'Hangar 3 per essere private di tutte le componenti classificate, prima di venire smantellate o abbandonate in un qualche deposito in attesa che la Federazione trovasse un mondo abbastanza sottosviluppato da averne bisogno - magari come vascello da difesa planetaria - per potergliele donare come gesto di buona volontà ed amicizia.
Si trattava - a differenza di quanto potessero pensare colleghi e sottoposti - di un lavoro a suo modo interessante e Rekon lo faceva con passione e puntigliosità, come scoprivano quei ragazzi, solitamente appena trasferiti, durante le lunghe strigliate che seguivano l'averli beccati a lavorare svogliatamente. Non era per il lavoro, dunque, che Rekon aveva chiesto trasferimento, ma per quella dannata casa. Anche se si trovava in orbita e non guardava verso l'enorme sfera che era Tellar, lui sapeva che era lì, giusto a portata di teletrasporto, e non poteva esimersi dal tornarci ogni volta che non riusciva ad accampare abbastanza scuse con sé stesso per evitarlo.
Era per questo che - una volta lasciate a cicatrizzare a sufficienza le sue ferite emotive, aveva marciato sull'ufficio del Direttore dei Cantieri Orbitali e aveva fatto formale domanda di trasferimento.
Il Direttore, un Umano di circa quarant'anni che di certo avrebbe preferito trovarsi ovunque anziché lì, aveva provato a farlo ragionare, a fargli capire che ad ogni età corrisponde un lavoro adatto, ma Rekon non aveva ascoltato ragioni. Cocciuto come una mandria di Bisonti Centauriani aveva ribattuto che. a meno che il Comandante Dixon fosse in grado di spostare i cantieri orbitali dall'Orbita del pianeta o viceversa, lui avrebbe avuto un trasferimento. E, trasferimento per trasferimento, lo avrebbe avuto su di una nave stellare in servizio attivo, non importa dove o quale.
Era stata una lotta, ma una lotta impari. Da un lato c'era un colletto rosso umano arrivato a comandare un cantiere di demolizione di vecchi residuati spaziali dopo una lunga e noiosa carriera in cui non aveva probabilmente mai annunciato un allarme rosso se non in esercitazione. Dall'altra c'era un vecchio Tellarite in grado di imprecare correttamente in trentadue lingue federali e non, con una carriera di tutto rispetto alle spalle, coronata da due croci d'argento al valor militare più una serie di altre paccottaglie buone solo a farlo inciampare per il peso quando le appendeva tutte all'alta uniforme.
E così ottenne il trasferimento e - impacchettati un po' di vestiti, qualche olofotografia e la collezione di orologi antichi ereditata dalla madre - aveva preso accordi con una signora fidata perché venisse a pulire la casa una volta a settimana e si era imbarcato su una nave rifornimento, che in appena un paio di settimane ed una o due deviazioni lo avrebbe portato alla sua assegnazione.
ora che si trovava in viaggio da dieci giorni, però, cominciavano a venire i dubbi...era ancora all'altezza di un servizio attivo, come aveva preteso di essere qualche mese prima, quando aveva smosso mari e monti per ottenere ciò che aveva voluto? Ovviamente aveva studiato a memoria tutte le specifiche tecniche della Voyager-A durante i primi giorni del viaggio e aveva sfruttato la piccola sala ologrammi della nave per esercitarsi nelle simulazioni di qualche emergenza ma, terminate queste attività, l'insicurezza era tornata.
Sbuffò di nuovo, dicendosi che era sciocco versare lacrime sul Thorb cucinato, quindi afferrò con la pinzetta il nuovo ingranaggio e lo mise al suo posto, fissandolo con incredibile perizia prima di richiudere il vano componentistica e provare a caricare la molla del pendolo.
Le tre ore di lavoro appena trascorse furono ricompensate dal piacevole ticchettio dell'orologio - un rudere quando l'aveva recuperato nel banco delle cianfrusaglie dell'ultima stazione spaziale che il cargo aveva visitato - tornato in funzione. Beh...qualcosa ancora la sai fare con quelle zampe, vecchio mio... si disse, voltando nuovamente l'orologio per aprire l'anta di vetro che ne proteggeva la superficie anteriore e regolare l'ora su quella standard della Federazione chissà se saprai cavartela altrettanto bene sulla plancia di quel giocattolino appena uscito dai cantieri di Utopia Planitia...
E perché non scoprirlo? domandò divertita una voce, mentre sul vetro dell'orologio compariva il volto di un umano dai capelli neri, che lo guardava con occhi maliziosi. Istintivamente Rekon si voltò per controllare se per caso si trattasse del riflesso di qualcuno giunto alle sue spalle senza che se ne accorgesse, ma non c'era nessuno.
prima che avesse il tempo di sparare un qualche elaborato insulto o chiedersi cosa accidenti stesse succedendo, con la coda dell'occhio vide la figura nel vetro, che ora era un mezzobusto dai contorni sfocati con indosso una divisa da Capitano della Flotta, schioccare le dita e dire ...così almeno la pianti di fare e pensare tutte queste fastidiose domande...tre ore che mi aggiusti e mi hai fatto venire un mal di testa...
E fu così che, in un lampo di luce, si ritrovò in uno spazio completamente diverso. Quando i suoi occhi si abituarono alla penombra del luogo in cui si trovava e le sue orecchie percepirono il vibrare che lo circondava, impiegò pochissimi secondi per capire che era successo qualcosa in grado di peggiorare notevolmente la sua giornata. La sua bocca partì in automatico in una lunga imprecazione concernente un paio di divinità tellarite del passato, alcuni dei loro emissari ed una sorta di orgia con un certo numero di altre figure poco raccomandabili, ma la sua mente era ben concentrata su dove si trovasse ora.
In effetti non c'è niente di meglio del trovarsi all'improvviso nel mezzo di un f*ttuto vascello Borg per cancellare dalla mente ogni pensiero ozioso!